WONSIRIM / VIRGIN FOREST (Corea del Sud 2012)
Questo film è stato presentato alla XXX edizione del Torino Film Festival, nella sezione TFFdoc.
Visitare la casa della nonna materna, dopo il suo funerale, fa pensare Hyun-jung al passato, ma ogni sforzo di catturare il tempo felice dell’infanzia è vano. In Corea domina una cultura maschilista, insensibile al passato e incurante del futuro, e per Hyun-jung il rito funebre catalizza un bisogno di cambiamento che passa da una nuova esperienza morale e spirituale.
Chissà, forse se il professor Guidobaldo Maria Riccardelli organizzasse oggi un cineforum sul cinema d’autore contemporaneo, Fantozzi sarebbe costretto a sorbirsi un film come questo. Che per fortuna, al contrario di Dies irae e della Corazzata Potëmkin, dura solo 73 minuti, ma così interminabili da sembrare quasi eterni (siamo sicuri che non si siano scordati uno zero finale, sul programma del TFF?). Spiace, perché sono proprio le pellicole come Wonsirim a costringere te, cinefilo doc, a doverti difendere a intervalli regolari dagli attacchi di chi odia il cinema impegnato (o quantomeno non commerciale), dalle battutine di chi ti considera uno snob solo perché in vita tua, una volta, hai visto per sbaglio un film iraniano che non t’è piaciuto nemmeno tanto (per non parlare del dvd del Posto delle fragole che quasi di nascosto custodisci gelosamente in un angolo buio della tua stanza). Eppure questi qua c’hanno anche ragione, perché a volte il cinema cosiddetto d’autore è quanto di più noioso, pretenzioso e inutile si possa pensare. Di cosa parla Virgin forest? Non lo so. Ci sono almeno delle belle immagini? Mah, giusto un paio. Dialoghi colti o frasi illuminanti? Mica tanto. Sperimentalismo sterile, palloso e fine a se stesso? Sì, di quello ce n’è a pacchi. D’altronde non saprei con quali altri termini definire un film la cui scena più avvincente è il quarto d’ora abbondante che la protagonista impiega per scegliere dei fiori da portare non so più nemmeno dove. Per non parlare di quando si mette a spazzare il pavimento della casa della nonna defunta: wow, chissà che geniale metafora della vita non sono riuscito a cogliere! E quelle giare ripiene di nonsoché? Be’, chi non ne intuisce il senso profondo può anche smettere di andare al cinema (“Ci potrei cagare dentro, sono della misura giusta”, dice un tizio che appare di tanto in tanto nel film. E si tratta della battuta migliore di tutta la pellicola).
Che cagata pazzesca (appunto). E poi c’è chi dice che Kim Ki-duk (tanto per restare in Corea) è noioso. Se pensate che stia esagerando, be’, sappiate che è forse la prima volta in vita mia che mi capita di non sentire un applauso alla fine di una proiezione del TFF. Vorrà pur dire qualcosa, no?
Alberto Gallo