WOODY ALLEN: A DOCUMENTARY (Usa 2012)
Che bellezza, finalmente un documentario su Woody Allen, il mio regista preferito!
(Perdonate l’attacco così fanciullescamente entusiasta, ma quando al cinema arriva proprio il film che avresti sempre voluto vedere, uno dei tanti, farsi prendere da una gioia incontrollata e un po’ acritica è praticamente inevitabile.)
Diretto da Robert B. Weide, Woody è un Bignami perfetto, una biografia per immagini ideale per farsi un’idea di Allen Stewart Königsberg come attore, come regista e, per quanto possibile, come uomo. Ok, il film non è niente di particolarmente originale, limitandosi a illustrare la carriera e le vicissitudini personali di Woody attraverso spezzoni dei suoi film più noti e interviste a personaggi che in modi diversi gli sono stati vicini nel corso degli anni (Diane Keaton e Tony Roberts, immancabili, ma anche Mariel Hemingway, Dick Cavett, Scarlett Johansson, il biografo Eric Lax ecc.), ma il tutto è confezionato con gusto, cura, ammirazione e affetto – e tanto basta, per quanto mi riguarda. Poi certo, si potrebbe obiettare sul fatto che alcune pellicole anche molto importanti nella filmografia del Nostro vengano un po’ trascurate (mi viene in mente Radio days, ad esempio, che io amo molto e che nel documentario non è nemmeno citato, o Sogni e delitti e Tutti dicono I love you), o sul fatto che l’approfondimento – mi si passi il termine – filosofico sul pensiero del regista rimanga un po’ in superificie (l’ebraicità di Woody non viene quasi mai tirata in ballo, così come alcune sue ossessioni quali la musica jazz, il cibo, la magia ecc.), ma il fatto è che per realizzare un documentario veramente completo sull’universo alleniano non sarebbero bastate quattro ore di pellicola, e allora tanto vale accontentarsi. Qualche chicca, in ogni caso, Woody la propone: lo sapevate, ad esempio, che il famoso split screen di Io e Annie, la scena in cui Alvy Singer e Annie sono entrambi dallo psichiatra e dicono cose assolutamente inconciliabili*, in realtà non è affatto uno split screen? Le immagini furono semplicemente girate in contemporanea su un set diviso a metà da un muretto, in modo che gli attori potessero sentirsi. L’idea – il colpo di genio! – fu del direttore della fotografia, il leggendario Gordon Willis, già artefice delle meravigliose atmosfere del Padrino (e d’altronde Woody Allen non si è mai fatto mancare nulla in ambito direttori della fotografia, avendo lavorato anche con Carlo Di Palma, Vilmos Zsigmond, Sven Nykvist… Ma sto divagando). Interessante, anche, l’indagine sul metodo di lavoro alleniano, che prevede una macchina da scrivere tedesca in possesso del regista da cinquant’anni, forbici, pinzatrici e nemmeno l’ombra di un computer.
Insomma, nulla di sconvolgente o innovativo, questo Woody, ma andate a vederlo, per favore, che un ripasso, se realizzato con la giusta dose di eleganza e ammirazione per l’oggetto in questione, e se l’oggetto in questione, soprattutto, è uno dei più grandi registi del XX (e forse anche XXI) secolo, non potrà che giovare. Se invece siete stati su Nettuno fino a ieri e di Woody Allen non sapete nulla, be’, ecco a voi l’occasione giusta per rimediare.
Alberto Gallo
* PSICHIATRA: “Quante volte alla settimana fate sesso?”
LEI: “Molto spesso, tre volte alla settimana”
LUI: “Quasi mai, tre volte alla settimana”