Woody torna in America

Creato il 07 gennaio 2014 da Lesmotsblog

Dopo sette film girati ed ambientati in Europa (e la parentesi americana di Basta che funzioni), Woody Allen torna in America.
Un ritorno in grande stile, ma amaro.
La trama è nota: l'arrampicatrice sociale Jasmine (Cate Blanchett), sposata a un ricco uomo d'affari newyorchese (Alec Baldwin), è ridotta sul lastrico dopo lo scandalo che ha travolto il marito, autore di truffe e illeciti finanziari, che si è suicidato in carcere in seguito all'arresto. Jasmine giunge su un volo di prima classe a San Francisco per cercare rifugio presso la sorellastra Ginger (Sally Hawkins), che, nonostante le scarse possibilità economiche e l'attrito che da sempre ha segnato i rapporti tra le due, la accoglie nella propria casa e cerca di aiutarla a risollevarsi.
Dalla scintillante vita newyorchese, l'arrivo a San Francisco non è facile, Jasmine, già in preda a crisi di nervi, sente sfuggirle il terreno sotto i piedi.

Woody Allen torna a New York, ma ne riparte subito: la New York dell'alta società di Blue Jasmine non fa sognare, è scenario di tradimenti poco intriganti, di luccichii di scarso interesse. Non è la scena di una società acuta e brillante, che lancia battute argute e diaboliche dietro i Martini, ma piuttosto l'ovattato mondo, con ampie concessioni al preppy, in cui si fa finta di non vedere le vecchie storie da anni sotto gli occhi di tutti, gli antichi intrighi noiosi ed annoiati, quasi l'ennesima ripetizione di un cliché che conosciamo così bene che non ci viene suggerito che distrattamente, ma non perciò meno efficacemente.

San Francisco, di cui vengono mostrati perlopiù scorci insignificanti, non costituisce una concreta alternativa. La gente che la abita ha un approccio sincero e maldestro alla vita. Influenzata da Jasmine, l'ingenua Ginger si abbandona al sogno di una vita diversa ma fa un buco nell'acqua e torna, felice, al rude ma sentimentale fidanzato.
Sono due mondi opposti, e se uno dei due è ormai in frantumi, l'altro non attrae: è vero, semplice, autentico nella sua rudezza, ma non per questo vicino o accattivante.
Né Jasmine, né Ginger. I personaggi più consapevoli del film, sono da cercarsi nella banda sgangherata che circonda la seconda - l'ex marito, che, pur con tutti i limiti materiali e culturali con cui ci era stato presentato, quasi nel finale incontra la cognata davanti a una gioielleria e le rivolge parole amare e puntuali, mandando all'aria la nuova vita fatua e disperata in cui si era rifugiata e rivelandone la vacuità; lo stesso fidanzato di Ginger che rappresenta una popolanità rozza ma sincera - e, ad un livello diverso, nel figlio adottivo della stessa Jasmine che, scoperti i misfatti del padre che tanto aveva stimato ed amato, lascia tutto e si costruisce una vita nuova, umile, lontano da un passato del quale non ha colpa.
Non sono tuttavia d'accordo con chi dice che con Jasmine non si riesca ad empatizzare. Le sue nevrosi, così ben rappresentate, con amarezza e sarcasmo, le sue assurde pretese, ce la rendono simpatica.

New York, San Francisco. In questa nuova America, Woody Allen non trova luoghi di pace. La pace, dove c'è, si paga con l'inconsapevolezza e la grossolaneria dei sentimenti, o con il travaglio della costruzione faticosa e continua di una vita nuova.la Quinta Avenue, prese dalla propria vita, con i maggiordomi e i camerieri, la colazione a letto, quando si mettevano in ghingheri per andare a cena o nei nightclub, per rincasare solo a tarda notte... ristoranti esclusivi, cocktail, piano bar. Per no so quale motivo quel mondo faceva scattare qualcosa dentro di me. Era questo che mi interessava.
Si direbbe che Woody sia tornato in America per scoprirla avvilita, o per colpirla, per mostrarcela per quel che è, con tutti i suoi limiti. La Manhattan che un giovane regista aveva imparato dalle vecchie pellicole in bianco e nero, un'esplosione di immagini che conoscevi soltanto attraverso i film di Hollywood, che per qualche ragione faceva scattare qualcosa dentro il bambino che era stato, che non è mai esistita davvero, che Allen voleva mostrare al mondo perché è quella di cui mi sono innamorato, pare svanita.
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Propongo la lettura di questi begli stralci d'interviste raccolte in Woody Allen, Eric Lax, Conversazioni su di me e tutto il resto, Bompiani.
EL: Nonostante fosse soltanto a quaranta minuti di metropolitana, Midtown Manhattan doveva sembrarti un mondo completamente diverso
WA: Esatto. Era un tragitto molto piacevole. Compravi il giornale, salivi sul treno e in trentacinque, quaranta minuti eri arrivato... La differenza era semplicemente stupefacente. Brooklyn non era male, quando però arrivavi a Manhattan, era un'esplosione di immagini che conoscevi soltanto attraverso i film di Hollywood. Perché quando si varcava "il confine" l'unica cosa che si poteva fare era passeggiare in Park Acenue o sulla Quinta Avenue o in Times Square o in qualsiasi altro posto... mica potevi entrare da qualche parte. L'unico strumento che ti portava dentro gli appartamenti, gli attici, i nightclub erano i film. Quando perciò arrivavi a Manhattan sapevi, guardando i palazzi della Quinta Avenue o di Park Avenue, che se solo avessi avuto a disposizione una macchina da presa avresti scoperto una tresca clamorosa nell'appartamento A o un paroliere che scriveva il prossimo musical di Broadway nell'appartamento B, mentre spostando l'obiettivo sull'appartamento accanto avresti trovato una giovane modella appena arrivata a New York, in procinto di innamorarsi della persona giusta e fare scalpore nel mondo della recitazione. Da bambino credevi a tutto quello che il cinema ti faceva vedere... ecco perché Manhattan era proprio un altro mondo.
Quando la mamma era in ospedale per partorire io andavo in giro con mio padre. Le facemmo visita solo dopo il parto, poi mio padre mi portò a Manhattan. Non ricordo se andammo al cinema o in un museo di guerra... mi comprò anche un kit dell'FBI per prendere le impronte digitali.
[...] WA: L'immagine fantastica del bel mondo mi catturò molto presto. Non so perché. Da bambino non erano i film di pirati o cowboy a piacermi, quelli per i quali i miei amici andavano pazzi. Mi facevano addormentare. Quello che mi emozionava, anche in tenerissima età, era la fine dei titoli di testa, quando c'era la panoramica sullo skyline di New York. Mi immaginavo le persone in queste case di Park Avenue o sul
[...] Io mostro New York a ttraverso il filtro del mio cuore. Mi definiscono sempre un regista newyorchese che snobba Hollywood, che anzi la denigra. Nessuno si accorge che la New York che mostro è la New York che ho scoperto soltanto grazie ai film hollywoodiani con i quali sono cresciuto... attici, telefoni bianchi, strade suggestive, viste sul mare, passeggiate in calesse in Central Park. La gente del posto mi chiede: "Ma dov'è questa New York?", ecco, questa New York esiste nei film hollywoodiani degli anni trenta e quaranta, la New York che Hollywood mostrava al mondo e che non è ma i esistita davvero, la stessa New York che io mostro al mondo perché è quella di cui mi sono innamorato. La prima volta che decisi di rappresentare New York come personaggio di un film in maniera significativa, in Manhattan, girai in bianco e nero in omaggio alla maggior p arte dei film con i quali ero cresciuto... sto creando un'opera di fantasia, ho una certa immagine della città ed è quella, che voglio trasmettere.



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