Quando si gira un film in cui c’è di mezzo un professore, magari di lettere, bisogna sempre scontrarsi con alcuni classici del genere. Per citare alcuni dei più celebri e non troppo invecchiati: L’attimo fuggente, Il club degli imperatori, Scoprendo Forrester, The History Boys, Will Hunting. Il cinema ci insegna che se qualcuno decide di fare l’insegnante – possibilmente in un college d’élite, altrimenti potremmo aggiungere anche Detachment alla lista – deve avere qualche grosso fantasma da sconfiggere, qualche nodo bello grosso da sciogliere, e non è detto che ci riesca a mani nude.
In Words and Pictures tutto questo raddoppia: lui, Jack Marcus (Clive Owen) insegna inglese ed è innamorato della parola, della sua funzione, dei suoni, del modo in cui solo una serie di fonemi è in grado di raccontare il mondo. Lei, Dina Delsanto (Juliette Binoche), pittrice prestata alla scuola, non può prescindere dalle immagini, dal pennello sulla tela, sul pavimento, nonostante – o proprio per questo – i suoi giorni siano segnati da una malattia degenerativa per colpa della quale è un’impresa anche abbottonarsi la camicia. Lui, simpatico ma un po’ pedante, espansivo fino all’invadenza, trova il suo alter ego nella freddezza scostante di lei: opposti nel carattere, nell’approccio alla vita, nel modo di coinvolgere gli studenti nelle proprie lezioni sono accomunati dal blocco dello scrittore (dell’artista, per estensione). Lui trova rifugio nell’alcol, lei si aggrappa alle sue medicine e, quasi senza accorgersene, a ciò che la infastidiva di più: Jack, che ricambia con grande stupore di Dina. Ma c’è bisogno di un altro contrasto che dia un po’ di corpo alla narrazione, fin troppo statica nella descrizione dei personaggi: una sfida tra le ragioni di vita dell’uno e dell’altra, immagini e parole, che ognuno dei due è determinato a vincere come un bambino la sua prima partita di calcio da titolare. E che Schepisi probabilmente cerca di non trasmettere come una lezioncina, ma un po’ di didascalismo insito in questo genere di film traspare: nelle citazioni, che preferiremmo leggere da soli; nelle spiegazioni, necessarie in una lezione scolastica, che in questo caso sono trasmesse raramente sotto forma di racconto; nel finale, che sarà taciuto ma che ci ha un po’ deluso perché tradisce un po’ le promesse iniziali.
Non che un finale debba sempre farlo e sappiamo che non potrà mai accontentare tutti, come confessiamo il guilty pleasure di voler guardare sempre e comunque un film che si svolge in una scuola, e magari riguardarlo anche se non è quel capolavoro che speravamo. Ma il mordente necessario a far risalire la corrente a Words and Pictures non c’è.
Ecco la recensione su Cinema4stelle.
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