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Woyzeck, il mio primo Herzog

Creato il 23 aprile 2011 da Spaceoddity
Ho visto Woyzeck perché me l'ha prestato un amico appassionato del regista Werner Herzog: è sempre così, le cose belle e importanti le scopro tra le mani e nella generosità di una persona più o meno vicina. C'è qualcosa di empirico - e di sentimentale - in questo mio modo di conoscere il mondo e l'arte. Sembra un accidente, ciò spiega lo stato lacunoso della mia formazione più profonda. Il lato positivo, invece, è che ogni scoperta, come questo film indimenticabile del 1979, può dirsi folgorante.
Woyzeck, il mio primo HerzogCerto, a scanso di equivoci, Woyzeck non è un dramma leggero: non lo è in Georg Büchner, il drammaturgo tedesco del primo Ottocento da cui Herzog l'ha tratto; non lo è nella tessitura musicale Alban Berg, che - a poco meno di un secolo - avrebbe dedicato il suo capolavoro ad Alma Mahler. Non lo diventa certo qui, anche se non si può negare che la vernice in questo caso è limpida, suggestiva: l'idilliaco sfondo di una cittadina-bomboniera ceca rende tutto più zuccheroso e spettrale, mentre la recitazione funambolica e perfetta di Klaus Kinski e quella drammatica, insieme asburgica e mediterranea, di Eva Mattes lasciano un'impronta indelebile nello spettatore più frettoloso.
Dramma di sottomissione e di gelosia, Woyzeck, nella regia di Herzog, lascia stupefatti per l'incredibile solitudine in cui si muovono i protagonisti. Le persone di questo cruedele carillon dalle musiche stupende sembrano affollarsi solo attorno alle parate militari e alle occasioni mondane, per poi svanire nei loro recessi insondabili di città abbandonata alla sua maledetta bellezza.Nella folla o in una lunga corsa solitaria, viene da chiedersi: dove sono gli altri? O, più propriamente, dov'è l'uomo?
Woyzeck, già da Georg Büchner, è una tragedia dell'uomo. Il giovanissimo drammaturgo tedesco era incline all'introspezione e alle domande di carattere etico. La sequenza iniziale, in cui il protagonista fa la barba al suo capitano, appalesa senz'ombra di dubbio l'urgenza reale di una prospettiva - non empirica, ma concreta e attuale - della morale, contro le chiacchiere vuote e insulse di chi propone una virtù e una morale da prontuario della conversazione mondana.
Werner HerzogIl problema di Woyzeck sarebbe che "pensa troppo": accusa ben nota e ricorrente che, per lo meno, ricorda il giovane introverso Amleto, con tutte le sue parole. Ma quando accusano il giovane di non avere virtù e non avere autocontrollo, il capitano-filosofo e il medico-anatomo patologo dell'anima hanno in parte ragione: Woyzeck non ha autocontrollo, non sa resistere alla gelosia che spontaneamente sorge dal comportamento - tutt'altro che irreprensibile - della bellissima Marie e non sa resistere alla tentazione estetica così abilmente sottolineata da Werner Herzog.
Eppure, almeno nel film (perché il dramma di Georg Büchner l'ho letto anni fa e non azzardo qui paragoni di merito), sembra che la riflessione non abbia affatto l'equilibrio, l'organicità e la simmetria dell'organizzazione del pensiero hegeliano: il capitano è scomposto, il dottore crudele, sadico e astratto, e l'ubriaco dell'intermezzo capolavoro - dopo che Woyzeck ha avuto le prove del tradimento di Marie - sembra risalire con il suo pensiero sull'uomo dalle profondità degli inferi, solo per un attimo.
Questo dionisismo filosofico, negativo quant'altri mai, per difetto di vita, non di pensiero o di amore per la vita, ricorda certe soluzioni leopardiane e destituisce di ogni fondamento la riflessione filosofica organica delle autorità, e dunque un pensiero organizzato sulla base dell'autorità e delle gerarchie. L'uomo sta lì, con tutta la sua potenza, a dire ci sono, a dirlo anche quando sbaglia, anche quando, all'improvviso sparisce e non si vede più nulla. L'uomo c'è.

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