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Writing Tuesday: Procrastinare

Da Silbietta @silbi_etta

Procrastinare
[pro-cra-sti-nà-re] (procràstino)
A v. tr.
lett. Rinviare a un altro giorno con il fine di temporeggiare: continua a p. la consegna della merce.

La scadenza si avvicina. E io, di solito, mi faccio trovare impreparato.
Che, a dirla tutta, non lo faccio nemmeno apposta.
Parto sempre con le migliori intenzioni, pianifico il lavoro al minuto e al secondo. E i primi giorni la cosa sembra anche funzionare a perfezione. Peccato che il mio meccanismo organizzativo non sia poi così perfetto.
Perchè, per quanto ci si possa impegnare, nella vita, capiterà sempre quella cosa che ha un nome tanto affascinante e, al tempo stesso, per nulla simpatico: l’Imprevisto.
Nel mio caso, l’imprevisto era rappresentato da Carter.
Mio cugino Carter.
Quello che, all’età di cinque anni, distrusse la tv nuova di zecca dei miei…perchè, da bravo distratto (distratto?) si era appoggiato con tutto il peso addosso al piccolo ritrovato della tecnologia.
Lo stesso che, qualche anno dopo incendiò “accidentalmente” il mio motorino.
Carter, l’avrete capito, ha un talento naturale per creare incidenti e tragedie alle persone che si trovano a 100 metri da lui.
Figurarsi al sottoscritto, che quella mattina di settembre se lo ritrovò sull’uscio di casa…

Puoi ospitarmi per qualche giorno, Matt?
In città non conosco nessuno e ho bisogno di un posto dove stare per un paio di giorni al massimo.
Il tempo di trovare un alloggio da qualche parte.

Il paio di giorni si era trasformato in 6 mesi.
180 giorni.
O, per dirla a modo suo, 90 paia di giorni…

Che poi era esattamente il tempo massimo che la mia casa editrice mi aveva concesso per terminare il romanzo.
E invece, le cose andarono diversamente.

Prima il notebook attaccato ai virus.
E più che un attacco è stata una disfatta.
Hard Disk fuso, mesi di lavoro andati in fumo.
Meno male che avevo una copia cartacea…troppo, davvero troppo vicina alla distruggi documenti.

Pensavo fossero cartacce da eliminare.
Scusami, volevo soltanto aiutarti.

E poi è stata la volta dello smartphone…finito nello scarico del water (“Sono inciampato, Matt, scusami!“), seguita dalla macchina per il caffè espresso (“Non avevo capito che andava aggiunta l’acqua…Scusa…”), il microonde (“Ma sul serio l’alluminio non si poteva mettere dentro? Non lo sapevo!”), il divano (“Ecco, credo di aver versato un pochino di quel prodotto, PER SBAGLIO, sul divano di pelle…si è leggermente sbiancato…come? si beh, lo so  è nero…ma quel tocco di bianco gli da un’aria così vintage! E sulle istruzioni dell’acetone non c’è scritto da nessuna parte che fa sbiancare i divani neri…”).

Sono stati mesi difficili, credetemi.
Giorno dopo giorno, passato a sperare che la lunga serie di sventure finisse.

Senza proferire parola.
Ma, come? – obietterete – Dopo tutto il caos che ti ha creato non ti sei nemmeno arrabbiato un pochino?

Il fatto è che continuavo a pensare a come terminare il mio romanzo.
I giorni passavano, la scadenza si avvicinava e io non sapevo trovare un colpo di scena che avrebbe reso il mio personaggio unico e indimenticabile.

E più si allontanava la possibilità di trovare ispirazione, più Carter accresceva la sua, di ispirazione nei disastri.
Salvo poi scusarsi col suo sorriso disarmante.

La rabbia cresceva.
Ma dovevo preservare la mia “creatura”.
Quel libro che, dopo anni passati a scrivere letteratura divertente, rappresentava la mia svolta “dark”.
E non volevo che fosse banale.
Volevo che restasse impresso nella memoria.
Come un sorriso scolpito nella pietra.

Il sorriso…il sorriso.

Non sono mai riuscito a rispettare una scadenza.
Ho sempre trovato una scusa per allungare i tempi.
Ma non stavolta.
Sono stanco di procrastinare.
E’ ora di dare una svolta alla mia vita.

E come prima cosa ho necessità che tutte le energie negative abbandonino questa casa.
No, non chiederò a Carter di andarsene.
Perchè, vedete? è stato lui a darmi l’ispirazione per il finale del mio romanzo.
E, dopotutto, devo essergli in qualche modo grato.
Perchè, per quanto assurdo possa sembrare, senza di lui questo libro non sarebbe mai uscito.
Nessuno si sarebbe appassionato alle vicende dello scrittore frustrato che, persa l’ispirazione, si tramuta in serial killer e uccide per poi scrivere le sue imprese in una serie di romanzi di successo.

Senza Carter non avrei avuto l’idea di tenere il sorriso della prima vittima del serial killer sempre presente e visibile in casa sua.
Li. Sul muro del Salone.
Murato e calcificato e poi opportunamente colorato, per nascondere ma non troppo.

Eh già.
Non avrei potuto non dare a Carter ciò che è di Carter.

E difatti, se passate da queste parti e volete venire a farmi visita,  vi accoglierò come si accoglie un amico sincero.
E, mentre sorseggiate la vostra tazza di the, se guardate bene il muro del mio salotto, potreste scorgere Carter che vi sorride.

Credetemi:
Lui si che ha un sorriso irresistibile.
Pensato da

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