Al via da oggi la nuova Campagna WWF che vuole innescare un movimento culturale e sociale in grado di avviare il più grande processo di recupero del territorio italiano, riducendo il consumo di suolo
Segnala fino al 31 ottobre le aree dismesse o degradate su wwf.it/riutilizziamolitalia
e immagina come reinventarle a misura d’uomo, di comunità e d’ambiente
Alcune cifre
Solo ¼ del Pianeta è allo stato naturale, 33 ettari di territorio al giorno invasi dal cemento in Italia, 5 milioni di seconde case o non abitate; 7mila km di linee ferroviarie dismesse o solo parzialmente utilizzate
Segnalare on line le aree dismesse o degradate, immaginare come riconvertirle creando ‘destinazioni d’uso green’, individuarne il riuso ambientale e sociale ed evitare così un ulteriore consumo di suolo, che ha devastato il Pianeta, riducendone lo stato di naturalità a ¼ della sua superficie, e che in Italia ha fagocitato 33 ettari al giorno negli ultimi 50 anni, ‘divorando’ biodiversità, risorse naturali, spazi per la collettività e l’economia locale: è l’appello lanciato dal WWF con la Campagna “RiutilizziAMO l’Italia” (wwf.it/riutilizziamolitalia) – in occasione della Giornata Mondiale dell’Ambiente e a pochi giorni dalla Conferenza Mondiale sullo Sviluppo Sostenibile ‘Rio+20’ (che si terrà a Rio de Janeiro dal 20 al 22 giugno) – per innescare un movimento culturale e sociale in grado di avviare il più grande progetto di recupero e riqualificazione del territorio italiano. Un movimento partecipato grazie al quale le comunità locali possano riappropriarsi del proprio territorio, ricostruire lo spazio in cui vivono, con iniziative spontanee e dal basso. Per far sì che le aree dismesse o degradate non siano più un ‘vuoto a perdere’, il WWF, grazie anche al supporto di una rete di docenti universitari ed esperti di urbanistica e tematiche relative al consumo del suolo, invita cittadini e ‘addetti ai lavori’ (architetti, urbanisti, ingegneri, designers, geologi, studenti ecc.) a inviare le proprie segnalazioni e suggerimenti fino al prossimo 31 ottobre sul sito wwf.it/riutilizziamolitalia, dove è possibile compilare l’apposita Scheda di segnalazione con tanto di foto dell’area da ‘reinventare’.
“Con ‘Riutilizziamo l’Italia’ il WWF vuole avviare il più grande processo di recupero del territorio italiano dopo quello che ha interessato nel Dopoguerra i centri storici. Un’azione di grande valenza ambientale, sociale ed economica attraverso la quale creare nuovi posti di lavoro, riqualificare l’ambiente e il paesaggio. Un percorso partecipato che si rivolge alla comunità, agli individui e ai tecnici a cui il WWF con ‘Riutilizziamo l’Italia’ chiede di inviare ipotesi, idee e progetti”, ha dichiarato Adriano Paolella, Direttore Generale del WWF Italia e docente di ‘Tecnologia dell’Architettura’ presso l’Università degli Studi di Reggio Calabria.
Oltre ai noti casi di recupero di edifici significativi per la cosiddetta archeologia industriale, anche in Italia ci sono già esempi che dimostrano come ‘ri-disegnare’ il proprio territorio sia possibile: il WWF ha individuato in 7 regioni 9 casi virtuosi di aree restituite alla natura e alla società, che da cave, discariche, paludi, siti militari o industriali sono state trasformate in oasi naturalistiche, parchi agricoli, luoghi di aggregazione, sedi per servizi sociali e l’economia locale. Un’operazione che ha permesso di recuperare quello che è solo un segmento dell’immenso patrimonio edilizio ‘inutilizzato’ in Italia, nel quale si contano oltre 700mila capannoni industriali (molti dei quali costruiti più che per una reale necessità, per beneficiare degli sgravi fiscali della legge ‘Tremonti bis’ del 2001), 5 milioni di seconde case o non abitate su un totale di 29 milioni di abitazioni (880mila uffici sfitti nella sola Milano), quasi 7mila km di linee ferroviarie obsolete (5.535 km di linee chiuse, 502 km di tratti incompiuti e 940 km di linee con tratta variata), senza contare l’inestimabile gamma di aree ed edifici del demanio militare (solo in Sardegna ammontano a 144.230 ettari per una superficie costruita di 467.600 mq).
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NON SOLO UN ‘MALE ITALIANO’ MA UN’EMERGENZA GLOBALE. Il cosiddetto ‘Land Use Change’ , ovvero il consumo e le alterazioni del suolo, è una delle cause principali di perdita della biodiversità sul Pianeta ed è stato infatti individuato dagli scienziati come uno dei nove ‘Planetary Boundaries’, quei ‘confini planetari’ che l’intervento umano non dovrebbe oltrepassare, a causa degli effetti disastrosi che potrebbero scaturire per le società umane e che, non a caso, saranno al centro del Vertice Mondiale di Rio+20. Ecco alcune cifre che fotograno la ‘perdita di natura’ provocata negli ultimi secoli dal consumo di suolo a livello globale: se nel 1700 il 95% del Pianeta si trovava in condizioni di naturalità e solo il 5% mostrava i segni delle trasformazioni apportate dall’uomo, oggi la maggioranza delle terre emerse è interessata da aree agricole e urbanizzate, meno del 20% si trova in uno stato seminaturale e solo ¼ può essere considerato ancora in uno stato di naturalità.
Un trend rispetto al quale l’Italia non è da meno: secondo il dossier “Terra Rubata – Viaggio nell’Italia che scompare” (2012), curato dal WWF insieme al FAI, negli ultimi 50 anni il nostro Paese ha consumato il suolo a un ritmo di 33 ettari al giorno (366,65 metri quadri a persona, ossia circa 4 volte un appartamento di medie dimensioni ogni giorno) e nei prossimi 20 anni il nostro territorio scomparirà al ritmo di 75 ettari al giorno, consegnando all’asfalto e al cemento una superficie complessiva di 600mila ettari ricoperta da aree urbanizzate.
RIUTILIZZARE SI PUO’: 9 CASI VIRTUOSI. Nove casi virtuosi di aree riutilizzare in 7 regioni e restituite ad ambiente e comunità locali. Si va dalla Lombardia, con l’Oasi WWF Foppe di Trezzo un tempo cava d’argilla e oggi area naturalista e tappa migratoria per molte specie di uccelli e il Parco delle Noci di Melegnano (MI), tra le prime oasi urbane in Italia recuperata da una piccola area produttiva degradata. Si passa per il Friuli, dove a Rivignano (Udine) grazie ai fondi europei del progetto LIFE+ è stato fatto rinascere con un bosco umido planiziale, l’antico habitat friulano, alimentato anche da semi e piante che un apposito vivaio distribuisce agli abitanti della zona. Nel Veneto, inoltre, il Forte Marghera (Venezia), un tempo sito militare, oggi è un parco pubblico con numerosi edifici storici e sede di diverse associazioni, oltre che attività di ristorazione incentrate sulla produzione locale e biologica. Altro esempio di recupero del demanio militare in Emilia Romagna, a Reggio Emilia, dove il complesso dell’ex-polveriera oggi ospita, oltre alla sede di associazioni cittadine, un centro per disabili e uno per la famiglia. In Toscana, l’Oasi WWF Stagni di Focognano, oggi habitat di numerose specie e laboratorio di ricerca per molti studiosi, è stata sottratta al degrado e all’avanzata dello sviluppo urbano. Nel Lazio, nel centro storico di Roma, l’ex-mattatoio, inattivo dagli anni ’70, oggi ospita la ‘Città dell’Altra Economia’, il museo d’arte contemporanea MACRO, la Facoltà di Architettura di Roma Tre e un centro sociale. Infine, in Campania, a Napoli, il Parco “Lo Spicchio”, dove prima venivano abbandonati i rifiuti e si svolgevano attività illegali e oggi parco urbano con laboratori didattici, e il Parco “Carmine Minopoli”, 14mila metri quadrati un tempo sede di un gasometro e oggi invece parco agricolo al centro della città.
La rete di docenti, esperti e studenti. Per realizzare altre operazioni simili, il WWF, oltre ai cittadini, ha attivato una Rete di docenti universitari ed esperti in urbanistica e problematiche relative al consumo del suolo che collaboreranno con diversi livelli di approfondimento al successo di “RiutilizziAMO l’Italia”. Il primo nucleo della Rete, che sarà ampliata nel tempo, vede la collaborazione, tra gli altri, di: Paolo Berdini (urbanista, Roma), Francesca Calace (Politecnico di Bari), Alessandro dal Piaz (Università di Napoli), Andrea Filpa (Università Roma Tre), Guido Montanari (Politecnico di Torino), Bernardino Romano (Università de’ L’Aquila), Costanza Pratesi (architetto, Milano), Maria Cistina Treu (Politecnico di Milano), Maria Rosa Vittadini (IUAV di Venezia), Alberto Ziparo (Università di Firenze).
Ai docenti ed esperti preme segnalare anche l’altra importante componente del mondo accademico e universitario: gli studenti, che con la propria creatività e competenza possono contribuire all’iniziativa, dedicando ad esempio la propria tesi o una propria proposta all’ideazione e allo sviluppo di un progetto di recupero.