X-MEN: FIRST CLASS (Usa 2011)
Dunque, cominciamo col dire che questo prequel alla saga degli X-men non è affatto male: tamarro quanto basta, incalzante, non troppo patetico, originale, avvincente e via dicendo. Ma cominciamo soprattutto con una breve analisi del cast, che mi sembra uno degli elementi più interessanti della faccenda.
James McAvoy: interpreta il giovane Professor X, al secolo Charles Xavier. Questo scozzese dalla faccia un po’ così mi è sempre stato simpatico, anche se l’ho spesso confuso con Joseph Gordon-Levitt. McAvoy si era già visto in quella cagatona di Wanted ma anche in film più carini come Espiazione e L’ultimo re di Scozia. Promosso (anche se il suo ruolo da saputello ricco non ispira proprio una grande empatia).
Michael Fassbender: lui invece è il giovane Magneto. Uno che sul cv c’ha scritto Inglourious basterds non ha bisogno di molte presentazioni. Qui se la cava alla grande, con quella faccia perennemente incazzata e quel fisico da idolo gay. Promossissimo.
Jennifer Lawrence: il tempo di abituarsi all’idea che questa cavallona da action movie hollywoodiano (nella parte di Mystique) è la stessa che ha fatto spendere parole d’elogio ai cinefili di mezzo mondo come protagonista di Winter’s bone… e non si può che rimanerne innamorati. Promossa pure lei.
January Jones: un altro ruolo spiazzante, per chi era abituato a vedere questa biondina slavata nei panni della signora Draper in Mad Men. Là se la cavava bene (e d’altronde non faceva altro che prendersi insulti e bugie), qua no. Come direbbe qualcuno, più che un’attrice è una cagna senza speranza. Rimandata (giusto perché è carina).
Kevin Bacon: l’ho sempre cordialmente detestato, e l’unico ruolo decente della sua carriera è stato, secondo me, quello in Mystic River di Clint Eastwood. Qui, nei panni di Sebastian Shaw, se la sfanga senza infamia e senza lode. Rimandato pure lui.
Un buon film supereroico, si diceva. Uno di quelli che puntano in alto senza aver paura di strafare. Qui, addirittura, alla maniera di Watchmen, si cerca di riscrivere la Storia, quella con la S maiuscola: siamo nel 1962 (dopo un breve prologo dalle parti di Auschwitz), nei giorni caldi della crisi missilistica cubana, che secondo la fantasia degli sceneggiatori fu causata proprio da Shaw nella speranza di annientare la razza umana e permettere ai mutanti come lui di dominare il mondo. Ma ci pensano gli altri mutanti, quelli buoni, a rimettere le cose al loro posto. Il rapporto tra esseri umani e mutanti è il nodo tematico centrale del film: integrarsi o rimanere separati? Gli uomini riusciranno mai ad accettare la diversità (estetica e genetica) degli X-men? Ma soprattutto: i mutanti riusciranno mai ad accettare se stessi, la loro alterità? Domande che nel film vengono poste in maniera (non dico profonda ma) non superficiale, e che trasportano la pellicola nel novero di quei film di supereroi che sanno parlare anche di qualcosa che non sia soltanto una serie di esplosioni, cazzotti e poteri incredibili. Poi, va da sè, X-men: l’inizio (diretto da Matthew Vaughn, già autore di Kick-Ass ma soprattutto marito di Claudia Schiffer) spiattella giustamente minchiate fumettistiche in gran quantità e qualche ovvissima scena patetica, ma anche questi immancabili elementi sono comunque affrontati con il piglio giusto. Un film che fa il suo semplice dovere (ovvero: mettere il cervello degli spettatori in modalità off per due ore senza fare troppi danni estetici), e che al confronto del tanto sbandierato Thor del tanto sbandierato Kenneth Branagh fa quasi la figura del capolavoro.
Alberto Gallo