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Ci sono dischi che possono essere ascoltati in ogni situazione, dischi che passano e vanno, belli ma sostanzialmente innocui, e altri destinati a lasciare un segno indelebile, ed è questo che accade con “Irrintzi”…
Bastano un nome e un cognome per avere l’assoluta certezza che non si sta parlando di musica spicciola, e per sentire di doversi mettere comodi, staccare il telefono e prestare seriamente attenzione. Il nome e il cognome sono quelli di Xabier Iriondo, istrionico chitarrista italo-basco dei migliori Afterhours, ma soprattutto artista eclettico e votato da sempre a tutto ciò che è anticonvenzionale, amante di tutto quel che rompe gli schemi e che trasforma il semplice ascolto della musica in un’esperienza unica.
La sperimentazione è il sentiero che Xabier segue da sempre, da quando – forse in cerca di nuovi confini – ha iniziato a costruire strumenti musicali nuovi e particolari, e ancora oggi, passati ormai i 20 anni di carriera, non accenna a deviare verso strade più usuali, nè tantomeno lascia trasparire tracce di cedimenti o tratti dissestati per quel che riguarda l’ispirazione, limpida e cristallina anche quando si avventura in territori sporchi per definizione. Insomma, Xabier è un po’ come un vecchio amico che gira il mondo ed ogni volta che fa ritorno dai suoi viaggi (fisici, mentali o spirituali che siano) in compagnia di amici sempre diversi, svuota lo zaino regalando musica nuova, ricca di fascino e sonorità particolari, e la sua ultima fatica non fa certo eccezione...
Anche in questa occasione il chitarrista è di ritorno da luoghi finora inesplorati, porta con sé una sacca rigonfia ed è pronto a svuotarla sul piatto, sotto la quasi impercettibile pressione della puntina del giradischi. Per la prima volta però Xabier si presenta da solo, con un album di debutto ufficiale da solista in un contesto particolarmente significativo, perché arriva proprio nel momento in cui il nome di Iriondo è ritornato a comparire nella formazione degli Afterhours, abbandonati agli inizi degli anni 2000 e ripresi dopo un decennio intero in cui i fan hanno atteso invano un esordio solista, dapprima dal vivo nella tournèe del 2010 e poi in “Padania“, l’ultimo album della formazione milanese (che non a caso si è dimostrato una perla di sperimentazione musicale come poche). Non è però soltanto il contesto di nascita dell’album, seppur abbastanza strano ed a tratti paradossale, a tenere banco, ma soprattutto la classe di Xabier, la sua musica mai scontata e una spinta creativa davvero enorme.
È così, tra nuovi esperimenti sonori e ombre del passato che Iriondo decide di accendere la miccia di “Irrintzi“, disco composto da 9 tracce e stampato in doppio vinile che pesca il titolo dai paesi baschi: “Irrintzi”, infatti, è l’espressione di un urlo di gioia tipico del popolo di quella regione e allo stesso tempo il nome di uno dei gruppi armati colpevole di atti di terrorismo in nome dell’indipendenza basca. Le due facce della medaglia di un intero popolo, tradizione e rivoluzione, felicità e lotta, guerra e pace se vogliamo, prendono vita lungo i circa 40 minuti del disco, alternandosi ed accostandosi fin dalla partenza, affidata a “Elektraren Aurreskua”, folk di secolare memoria sporcato da incursioni sintetiche e impreziosito da cori, rumori e voci di bambini in sottofondo. A seguire, senza interruzioni, arriva prepotente la title-track, un noise-rock da risvegliare i morti, sparato a mille all’ora per un contrasto che chiude l’incipit: musiche e suoni di un passato remoto che si mescolano con sonorità moderne, il vecchio e il nuovo a confronto diretto, la tranquillità e la rabbia a stretto contatto sono l’inizio, la fine e l’essenza dell’intero album, in cui Iriondo esprime tutto sè stesso come forse mai prima d’ora. Quasi come trasportati dalle note ci si ritrova in una dimensione eterea in cui l’ispirazione di Xabier può muoversi senza alcun limite e alcuna restrizione, rimbalzando tra generi in apparenza inconciliabili, prendendo spunto da ogni cosa intorno: tracce di rock classico, spolverate di noise, attimi di psichedelia e avanguardia, riff da metalcore e riverberi kraut, e poi ispirazioni, citazioni, cover, Battisti, Springsteen e i Motorhead che riecheggiano ed altro ancora, tutto raccolto e gettato nel calderone da Xabier, che come un coniglio dal cilindro ne estrae pezzi splendidi, che alternano atmosfere sognanti e idilli sonori a vere e proprie bombe musicali. Bombe sulle quali l’artista non risparmia id appoggiare critiche sociali e richiami a sentimenti rivoluzionari. Si passa così per la straniante “Il cielo sfondato” e per “Gernika eta Bermeo”, rievocazione della strage di Guernica raccontata dalla voce di Karmel Iriondo, padre di Xabier nonché testimone oculare di quella terribile vicenda, che chiude il primo vinile tra le vibrazioni dei Synth. Giusto il tempo di cambiare disco e si riparte a cannone tra cover rielaborate e sperimentazione, con “Reason to believe” che prende Springsteen e lo rivolta dalla fodera interna a forza di vibrazioni noise, e poi “Preferirei Piuttosto Gente per Bene che Gente per Male“, critica socio-culturale secca e senza peli sulla lingua, fino a “The hammer”, che afferra Lemmy e i Motorhead e preme l’acceleratore noise fino allo spasmo. A chiudere l’album ci sono i due volti della rivoluzione, quello rabbioso di “Itziar en Semea”, un canto anti-franchista colpito con martellate sintetiche pesanti, e quello più intellettuale di “Cold turkey”, psichedelico richiamo al Lennon solista impreziosito dai ritrovati compagni negli Afterhours.
Quella degli After non è l’unica partecipazione illustre, per l’occasione Iriondo ha chiamato a sè vecchi amici e musicisti del calibro di Gianni Mimmo e Gaizka Sarrasola, e persino alcuni componenti di Area e Starfuckers, e il risultato non avrebbe potuto essere migliore.
Si possono provare a spiegare le canzoni, si può provare ad incastonare ogni brano in una precisa dimensione, in un genere o in una particolare corrente artistica, si può provare a dare una collocazione all’intero album. Si può provare, certo, ma a volte – e questa è una di quelle – non ci si può riuscire. Non è certo con qualche centinaio di parole che si può riassumere il “debutto” di Xabier Iriondo, perché la verità è che “Irrintzi” è un granitico blocco di genialità in musica, l’espressione completa e inscindibile del significato dell’espressione “sperimentazione musicale“, un mix di cuore, passione, ricordo del vecchio ed eterna ricerca del nuovo che colpisce forte e non si dimentica. Un’opera gigantesca.
Voto: 9
Tracklist
1. Elektraren Aurreskua
2. Irrintzi
3. Il cielo sfondato
4. Gernika eta Bermeo
5. Reason to believe
6. Preferirei piuttosto gente per bene che gente per male
7. The hammer
8. Itziar en Semea
9. Cold turkey
Recensione pubblicata su Oubliette Magazine
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