Anna Lombroso per il Simplicissimus
Fu Isaac Deutscher a dire che l’antisemitismo era un problema degli antisemiti. Ma temo che questa convinzione facesse parte della sua “grande illusione”. Ed anche il razzismo contemporaneo, non è purtroppo un problema dei razzisti, benché denunci paure, viltà, ignominie segrete che osano venire a galla in chi lo pratica, ma di chi ne è vittime. E i rivolgimenti sanguinosi, le apocalissi del secolo breve, il più crudele della storia: due guerre mondiali, innumerevoli conflitti coloniali e post-coloniali, decenni di guerra fredda, guerriglie insorgenti e repressioni contro-rivoluzionarie e segnato dalla tragica combinazione tra tecnologia e sterminio che ha permesso il genocidio fordista del Terzo Reich, non sono bastati a cancellare le sue pulsioni inumane in questo nuovo millennio orfano delle grandi narrazioni della storia, reso gracile da etiche sempre più ridotte a conformismi e ubbidienza, dalla fine, con le ideologie, di utopie e ideali.
La rubrica quotidiana della Padania che aggiorna le assidue squallide belve in camicia verde sugli impegni istituzionali della Ministra Kyenge, non è la sortita prevedibile di un movimento che ha fatto di xenofobia e razzismo il suo motore di aggregazione. Se la mettiamo insieme a una consultazione pelosa, avviata, c’è da temere, nella speranza che mostrasse il volto feroce del respingimento sotto forma di volontà popolare, alle “ragionevoli” esternazioni di Panebianco sul Corriere, al babau della negritudine sventolato dal professor Sartori, che nell’obnubilamento regressivo dell’età è tornato a aver paura dell’uomo nero, alle battute della Santelli, fortunati i neri che non si devono truccare, otteniamo il ritratto nuovo e antico di un sentire che non è una pulsione originale, ma il frutto sempre più di paure alimentate per dar loro l’aspetto accettabile di autodifesa dalla minaccia che altri, estranei, sconosciuti, recano alle nostre certezze sempre più incerte, alle nostre garanzie cancellate, alle nostre aspettative deluse. Nutrire risentimento, insicurezza, odio serve non solo a renderci ancora più permeabili a persuasioni sempre meno occulte, ma soprattutto a consolidare le basi di nuove organizzazioni sociali, a condannare irreversibilmente intere popolazioni, sempre di più, a rinunciare a terra, dignità, speranza per convertirsi in eserciti del lavoro, da trasferire come corpi nudi dove lo sfruttamento chiama.
Non c’è da stupirsi: siamo il Paese che replica tradizionalmente le sue leggi razziali, quello dove due partiti esplicitamente xenofobi sono in Parlamento e sono stati al governo per quasi vent’anni – e le mutazioni di uno ci sono ancora, nel quale le opposizioni di ieri sono state timide poi acquiescenti nel timore di perdere un’occasione di consenso, dove ci si serve di stragi ripetute per affermare che bisogna ineluttabilmente ricorrere alla politica del rifiuto istituzionalizzato per non dare false speranze a chi arriva, per non impoverire chi c’è già, per non lasciar spazio all’inevitabile sconfinamento dalla disperazione alla trasgressione.
E per via di trattati, patti e accordi ci siamo assoggettati a quel razzismo dei Paesi forti che hanno generato l’imperialismo finanziario e il conseguente colonialismo, fatto di trasferimenti di masse costrette a andare dove va il vento del lavoro precario, di sanzioni sempre più esose comminate a paesi che non hanno avuto forza a capacità di percorrere la stessa strada, nei quali un padronato globale e governi inetti hanno coltivato corruzione, malaffare, criminalità antiche e innovati che, radicate o venute da fuori.
Quel capitalismo che alla fine è scampato ai ripetuti assalti al cielo, si è fortificato portando a termine audaci evoluzioni conservatrici, senza essere ostacolato dai antagonisti capaci d’anteporre solidi modelli alternativi e nemmeno aeree utopie consolatrici e ora ripropone schemi feudali, con nuove e feroci schiavitù, con la repressione ottusa di libertà e diritti, privando stati e popoli della sovranità, delle opportunità offerte dal progresso scientifico e tecnologico, oggi più che mai indirizzato in favore del profitto di pochi e a danno dei molti.
A pensarci bene forse ha ragione Deutscher: il razzismo può essere un problema di razzisti, quando non si accorgono di essere vittime a loro volta del più forte.