<<Queste maledette piante, se avessi una spada, le ridurrei a brandelli>> protestò Xera sfiorando il fodero vuoto sulla cintura. Elesya invece restò in silenzio, rimuginando su alcuni pensieri. <<Credo di avere la soluzione!>> disse infine, << Quando hai nominato la spada, mi è venuta un’idea?>>, <<Ossia?>>, <<Semplice! Sta a guardare!>> spiegò. La giovane maga afferrò il bastone di legno e metallo e sollevandolo fin sopra la testa, iniziò a pronunciare una strana formula. In un primo momento sembrò che nulla fosse cambiato, poi invece man mano che la formula si articolava, strani bagliori si stagliarono attorno all’arma che ben presto s’illuminò, quasi fosse una torcia. Alla fine della litania, dei sottili raggi iniziarono a proiettarsi dal bastone alle piante e una volta entranti in contatto, la luce si tramutò in lame, tagliando di netto ogni singola radice. Xera restò senza parole ma non era finita qui.
Poiché le piante tagliate erano subito sostituite da nuovi germogli dalla crescita accelerata, Elesya impose la mano sinistra sul terreno e magicamente accanto ad ogni nuovo rovo, spuntarono le funi oscure che impedirono a questi di serrare il passaggio appena creato. <<Hai fuso i due incantesimi, sono strabiliata dalla tua abilità>> asserì Xera ed Elesya sorridendole, invitò l’amica a correre essendo ancora incerta sulla durata dell’incantesimo. Giunsero quindi al centro della foresta nera ma per la maga fu impossibile ripetere lo stesso trucco, poiché priva di energie. <<Il terreno avrà assorbito ancora una volta i tuoi poteri, cerca di usare la magia con parsimonia d’ora in avanti o cadrai addormentata>> spiegò Xera. I rovi centrali, diversamente da quelli esterni, erano più scuri e le spine più lunghe e aguzze, tanto che in alcuni snodi evitarle fu arduo. Improvvisamente Elesya si fermò. <<Guarda!>> disse stupita; una rosa nera dai petali grandi come pugni, era sbocciata non molto distante ed essendo la missione ancora in corso, ne approfittarono.Xera si chinò lentamente e dall'interno coscia della gamba destra estrasse il pugnale, poi prestando attenzione alle spine dinanzi a lei, si mosse in direzione della rosa. Elesya invece preferì restare indietro, essendo il passaggio angusto. Prelevati cinque petali neri, li depose nella bisaccia avvolti in un pezzo di stoffa per non rovinarli e ultimata la missione poté finalmente tornare indietro. <<Xera, dietro di te!>> urlò Elesya all'improvviso: alle spalle della guerriera una spina iniziò ad allungarsi e affilata come una spada, le si scagliò contro. Elesya chiuse gli occhi temendo il peggio e l’unica cosa che poté udire, fu un tonfo metallico. Quando li riaprì, fu ben lieta di sapere l’amica al sicuro, protetta dal suo prezioso scudo. <<Per un pelo!>> mormorò Xera asciugandosi la fronte. <<Caro Divaahr, ti devo un favore!>> aggiunse e per un attimo le sembrò che lo scudo vibrasse compiaciuto. Con Divaahr ben alto, le due ragazze continuarono a farsi largo tra i rovi, non sapendo tuttavia da che parte andare. Al di la della foresta, in un palazzo avvolto dalle rose, qualcuno osservava attentamente i movimenti delle giovani leve, manovrando le spesse radici come fossero prolungamenti del suo corpo. Al centro del salone principale invece, vi era una gabbia di rovi e spine di metallo, il cui ospite dormiva profondamente. <<Svegliati!>> ordinò, stanca di aspettare e cessato l’effetto del gas, Reilhan poté finalmente riaprire gli occhi. <<Dove sono finito?>> pensò, la risposta tuttavia non tardò ad arrivare. Avvolta dalle tenebre, una strana figura se ne stava seduta in silenzio su di un trono di ossa e teschi. Come se non bastasse, tra un osso e l’altro, spuntavano delle sottili spine nere che avrebbero reso la seduta assai scomoda a chiunque altro. Reilhan restò impietrito dinanzi a quell’ombra, poi però distolto lo sguardo, si rese conto di essere completamente disarmato. A pochi metri dalla gabbia, posti su di un altare di pietra lavorata, c’erano il fido maglio e la bisaccia. <<Non vi angustiare mio giovane ospite>>proferì la figura, la cui voce si propagò in tutta la sala dando al curatore, la sensazione che potesse trovarsi ovunque e da nessuna parte. <<I vostri oggetti personali sono al sicuro e nessuno qui, tenterà di rubarli>> il tono della voce cambiò e una risata agghiacciante risuonò in tutto il palazzo. <<Ho convenuto che la giusta punizione per aver deturpato le mie splendide piante, sia la perdita della vostra libertà. Anzi oserei affermare di essere stata anche fin troppo indulgente verso colui che senza remore, ha martellato, squarciato, percosso …>> più gli aggettivi si susseguivano e più la voce si faceva minacciosa e cupa, tanto che per il Novizio fu impossibile non tremare. << … i miei preziosi bambini. Come hai osato! Sciocco e imperfetto umano. Non ho mai provocato alcun danno ai mocciosi che si aggirano sull’isola>>spiegò, ma presto ebbe un attimo d’esitazione e qualcosa si mosse accarezzando i teschi del trono. <<Oh si! Tranne quando guidati dall’avidità, si son spinti oltre la barriera di spine, ferendo la mia prole>>. La figura si sollevò e lentamente si mosse in direzione della gabbia. Dalle finestre, avvolte da spesse tende scure, filtrava rado qualche raggio di sole e man mano che la creatura avanzava, Reilhan poté scorgerne dei frammenti. <<Chi ferisce i miei figli, è condannato a morte>> disse quasi bisbigliando, giunta ormai a pochi passi dal Novizio, <<E tu non farai eccezione!>>. Una mano bianca e apparentemente umana, strinse con forza le sbarre della gabbia nonostante fossero irte di spine e quando anche il viso si protese in avanti, Reilhan conobbe la sua carceriera. <<Siete dunque voi, la fantomatica Goreha?>> affermò tremante e lei sorrise compiaciuta. <<Io sono la tua signora adesso, non osare pronunciare il mio nome senza il giusto appellativo>> spiegò gelida. Dalla spalla sinistra sbocciò una rosa turchese e una volta colta, Goreha ne soffiò i petali dentro l’angusta gabbia. Reilhan, non potendo muoversi, fu costretto a respirare il polline di quel fiore e come fosse stato maledetto, si ritrovò completamente succube della signora delle rose. Quando ogni barlume del suo spirito fu infine annientato, Goreha illuminò la stanza con un gesto della mano, mostrando al nuovo sottoposto, il suo aspetto. Dell’orribile creatura di cui tanto si parlava, non vi era alcuna traccia, al contrario dinanzi al lui si palesò la donna più bella che avesse mai visto. Il suo aspetto era sinuoso ed elegante, vestita soltanto di petali e foglie di rosa che a stento le coprivano le seducenti rotondità. La sua pelle era candida come la neve e riluceva come fosse bagnata dalla rugiada, se colpita dai raggi del sole. Aveva lunghi capelli corvini che morbidi le ricadevano sulle spalle e alcune ciocche erano persino adornate da sottili steli simili alle viti e piccole rose chiare di notevole bellezza. I suoi occhi di fuoco gli ricordarono per certi versi quelli di Hillin, di cui però dimenticò il nome dopo alcuni secondi. Le labbra rosee e carnose invece, incanalarono tutta la sua attenzione e per lui fu impossibile distoglierne lo sguardo, rapito da cotanta bellezza. Il profumo inebriante della regina avvolse l’intera stanza e l’unico pensiero che il Novizio riuscì a manifestare fu di restarle accanto; per lui ormai non contava nient’altro. Mosso dal desiderio di poterla anche solo sfiorare, Reilhan cercò di distruggere le sbarre a mani nude, ferendosi ripetutamente a causa delle spine metalliche che in breve tempo si tinsero del suo sangue. Goreha ne fu compiaciuta, poi quasi a voler suggellare il suo incantesimo, tese una mano al ragazzo che senza indugiare, afferrò e accarezzò come fosse il suo tesoro più prezioso. <<Molto bene!>> affermò Goreha, sottraendosi alla presa <<Esegui i miei ordini e ti concederò di toccarmi ancora una volta!>> aggiunse infine. Reilhan osservò la regina e nuovamente si protese verso di lei, ferendosi con le spine. Non riuscendo però a raggiungerla, si sentì ardere dalla rabbia e senza indugio accettò le condizioni di Goreha, rinunciando così alla sua libertà. La gabbia lentamente si aprì e di nuovo libero, poté infine raggiungere la sua nuova padrona, perdendo se stesso tra le braccia della regina velenosa.