Tra il 5 e il 7 aprile in Fieramilanocity a Milano si è svolta la diciottesima fiera internazionale d’arte moderna e contemporanea, il Miart, il cui direttore era, per la prima volta, Vincenzo de Bellis.
Le sezioni erano quattro: sono tornate Estabilished e Emergent, affiancate dalle nuove THENnow e Object. Nonostante questo, il Miart non è risultato affatto interessante. Molti pezzi presenti sono già stati visti lo scorso anno e tra quelli nuovi non spiccavano opere o artisti particolari (se si pensa che quella che ha catalizzato l’attenzione, “Womb” , rappresenta una gabbia per bambini di piena di patatine fritte del sacchetto) o di grido. Se il Miart deve rappresentare il nuovo dell’arte contemporanea, stiamo freschi.
Non sempre 55 espositori (di cui 40 arrivati per la prima volta, il che significa che moltissimi galleristi presenti lo scorso anno sono scomparsi dalla scena della Fieramilanocity) o 15 paesi di provenienza sono una garanzia di un buon prodotto.
Le gallerie italiane viste al Miart spesso non erano di primo livello. Soltanto tra i milanesi erano assenti grandi nomi quali, solo per fare qualche esempio, Franca Sozzani, Antonio Colombo, tra gli altri.
Le idee organizzative sono anche buone, come il fatto di confrontare artisti di generazioni diverse a coppie, uno affermato e uno emergente. Peccato che l’esposizione fosse confusa e il confronto tra artisti fosse poco sviscerato se non, a volte, addirittura tirato per le orecchie. Il confronto Enzo Mario – Tim Rollins, ad esempio, era incomprensibile. Tra glia altri, Dadamaino contro Giuseppe Gabellone, Salvo contro Francesco Arena o Miroslav Tichy contro Goshka Macuga.
Idem si dica per la sezione Object, che riguarda il design moderno. Un po’ pleonastico da organizzarsi due giorni prima che apra il Salone del Mobile e il Fuori Salone, quando i milanesi avranno il design fin fuori dagli occhi. In più, gli aderenti non erano molti e la sezione era scarna.
Tra le gallerie principali aderenti all’evento la Massimo De Carlo (Milano), Qbox di Atene, Lorenzelli Arte (Milano), Robilant + Voena (Londra) e Circus (Berlino), la Galleria Lia Rumma insieme alla Galleria Noero (Torino)
Tra gli artisti in mostra, alcune opere curiose, come i ritratti di Baquait, Elvis o della Callas di Fiore, le immagini sacre in stile bizantino ornate da farfalle ritagliate nella carta colorata di Donna Ong, gli unicorni mutanti e i cavalli tagliati a metà, con le viscere in bella vista, di Ronald Ventura per Primo Marella. La mappa del mondo per fatti e volti del secolo trascorso per Giuseppe Stampone alla Prometeo Gallery.
Ma anche grandi classici: Gilbert and George, Damien Hirsh e Cindy Sherman alla Robilant + Voena, quindi Mirò, Picasso, Modigliani, De Chirico, Pomodoro, Fontana. Tantissime opere di Anastasio Soldati. Tanto (troppo) Bonalumi. Specializzata nei classici la galleria Tornabuoni, con Boetti, due sfere di Pomodoro, Picasso, Fontana e Basquait.
Hirsh in particolare ha fatto una grande sensazione, attirando molti curiosi, con il suo quadro fatto con farfalle morte, di colori simili e di uguale grandezza, a creare forme astratte, in cerchio.
Ca’ di Fra’ ha portato ottimi autori: il fotografo Joel Witkin, gli arazzi di Alighiero Boetti, un angolo dedicato ad Andrea Pazienza. L’espositore più convincente, però, è stato Cardelli e Fontana di Sarzana, che ha presentato un discorso espositivo omogeneo, con opere simili, per colori, tecniche e materiali, portando una carrellata di autori (da Mirko Baricchi a Renata Boero, a Mirco Marchelli) che hanno diffuso le loro suggestioni al Miart, conferendo al tempo stesso personalità alla galleria. Altre gallerie purtroppo, hanno invece propinato agli astanti le stesse cose dell’anno scorso, come ha fatto, un po’ vigliaccamente, la galleria Contini.
Per fortuna anche quest’anno abbiamo potuto ammirare Laurina Paperina allo studio d’arte Raffaelli. Ha portato i suoi quadretti fumettistici in acrilico, ispirati ai grandi artisti contemporanei. Mirabile quello per Marina Abramovic: rappresentati la Marinona nazionale, nuda, in fronte a Ulai, ugualmente nudo. Sulla tela è scritto: Marina doesn’t love anymore Ulai.
Written by Silvia Tozzi