Bloody Beans della regista algerina Narimane Mari è ambientato in un tempo storico che potrebbe essere quello della dominazione francese (durata fino al 1962), ma che si può ricondurre anche alla situazione attuale del Paese, governato (e dominato) dal Presidente Abdelaziz Bouteflika in stato d’emergenza fino al febbraio del 2011.
Si apre con uno scenario spensierato: un gruppo di ragazzini e ragazzine si divertono sullo spiaggia fino a che non realizzano che hanno fame e mettono in piedi un piano per procurarsi il cibo, che non siano i soliti fagioli rossi (quelli del titolo), che sono costretti a mangiare tutti i giorni.
Nel loro cammino incontrano personaggi surreali, come l’uomo con la maschera da porco, francese, che abusa della moglie Marcienne, di cui i ragazzini si prenderanno cura dopo le violenze; e vivono situazioni oniriche, come l’attraversamento del cimitero francese, per raggiungere la città. E’ forse la parte più bella del film: le immagini dei ragazzini che si improvvisano zombie e statue, che attuano un mascheramento per esorcizzare la paura dei fantasmi (e della guerra) danzando al ritmo incalzante dell’azzeccato brano “L’esprit du cimetière” del duo electro-pop Zombie Zombie; il Paese rischia la guerra, la fame e la dominazione straniera ma loro non perdono il gusto di trasformare la tragedia imminente in un gioco. Molto meglio di quanto farà la televisione, che con la guerra metterà in piedi una vera e propria spettacolarizzazione, diffondendo immagini di distruzione e miseria e tralasciando il fatto che la vita va avanti, anche in situazioni di emergenza, che i ragazzini giocano si divertono e vivono le scaramucce tra maschi e femmine tipici della loro età.
I ragazzi raggiungono l’avamposto di un capitano francese, dispotico e rozzo, e grazie all’aiuto di un soldato impacciato e impaurito riusciranno a rubare un po’ di cibo e a tornare sulla loro spiaggia “incantata”, lontani dalle lotte di potere e dalla guerra; il giovane soldato francese subisce una specie di interrogatorio da parte dei ragazzi incuriositi, e si nasconderà dietro l’affermazione “non ho scelto io questa guerra” per giustificare la sua posizione, seppur involontaria, di dominatore. Uno dei ragazzi gli controbatterà che “tutti hanno una scelta” e citerà il poeta Antonin Artaud “è meglio essere che obbedire”.
Anna Quaranta