A distanza di 140 anni, il revisionismo è sempre in agguato e Pio IX (famoso per aver assoldato nello Stato pontificio il boia Mastro Titta) quasi non viene ricordato come un fermo oppositore all’unità d’Italia ma quasi come un sovrano che legittimamente occupava il suo trono.
Per inquadrare meglio la figura di Pio IX è opportuno ricordare gli avvenimenti risorgimentali del 20 giugno 1859 conosciuti come “Le stragi di Perugia” quando nella città di Perugia le truppe dei reggimenti svizzeri inviate da papa Pio IX attaccarono i cittadini che si erano ribellati al dominio dello Stato della Chiesa, procedendo all’occupazione della città, al saccheggio e al massacro di civili.
Questo comitato si mosse il 14 giugno per chiedere al governo pontificio, attraverso il suo rappresentante a Perugia monsignor Luigi Giordani, di abbandonare la posizione di neutralità assunta nella guerra italiana. Poiché il rappresentante pontificio rifiutò di collaborare, il comitato lo cacciò e diede vita ad un governo provvisorio, che offrì la dittatura a Vittorio Emanuele.
A tale supremo organo fecero capo un comando di piazza, un comitato di difesa e altri essenziali organi di pubblica sicurezza e di difesa. Tali organi si resero necessari perché apparve subito chiaro che il governo pontificio, deciso a porre argine ai movimenti filo-unitari che minacciavano di estendersi anche alle altre regioni superstiti dello stato, non rinunciava al possesso della città di Perugia e si preparava a dare, riprendendola con la forza, un memorabile esempio. Apparve altrettanto chiaro che non c’era da attendersi alcun appoggio da parte di Cavour, che aveva la mani legate dai precisi accordi con Napoleone III e che pur trovava l’insurrezione perugina in sintonia con la politica unitaria intrapresa dallo stato sabaudo.
Il governo provvisorio rivolse perciò un appello al popolo perché si preparasse alla difesa e tale appello fu accolto.
Quando il 20 giugno le truppe papali, forti di circa duemila uomini in gran parte svizzeri, si presentarono davanti a Perugia, trovarono un migliaio di cittadini dispersi su un ampio fronte, male organizzati e armati – dalla Toscana erano giunte poche centinaia di fucili e per giunta non tutti in buono stato – ma animati dalla volontà di difendersi.
La resistenza fu spezzata dopo un breve e accanito combattimento che ebbe come epicentro Porta San Pietro e che costò 10 perdite ai pontifici e 27 ai perugini(2). Ad esso seguì un saccheggio, accompagnato dal massacro di civili, che rese immediatamente famoso il primo episodio di guerra popolare del 1859.
Figura di rilievo durante le stragi fu quella dell’abate del monastero di San Pietro Placido Acquacotta, il quale nascose e aiutò nella fuga numerosi civili.
Testimonianze
Numerosi contemporanei descrissero l’accaduto. Così è raccontato nelle parole del Sottointendente militare Pontificio Monari:
«I soldati passarono sopra queste barricate, presero d’assalto tutte le case ed il convento ove uccisero e ferirono quanti poterono, non eccettuate alcune donne, e procedendo innanzi fecero lo stesso nella Locanda a S. Ercolano, uccisero il proprietario e due addetti, ed erano per fare altrettanto ad una famiglia americana, se un volteggiatore non vi si fosse opposto, ma vi diedero il sacco, lasciando nel lutto e nella miseria la moglie del proprietario e arrecando un danno di circa 2.000 dollari alla famiglia americana. Fatti simili sono accaduti in tre case, dappoiché il saccheggio ha durato qualche tempo durante il quale tre case sono state incendiate. I soldati vincitori hanno fatto man bassa su tutto quanto loro capitava innanzi».
(da Le stragi di Perugia – L’insulto a Dio, in «La Propaganda» n.461 del 2 luglio 1903)
«Furono saccheggiate trenta case, nelle quali — per confessione dello stesso Schmidt — fu fatto massacro delle stesse donne; furono invasi un monastero, due chiese, un ospedale e un conservatorio di orfane, nel quale sotto gli occhi delle maestre e delle compagne due giovanette furono contaminate. Alle immanità dei saccheggiatori seguirono, come legittimo corollario, il Governo statario bandito a Perugia dallo Schmidt, le onorificenze largite a lui ed ai suoi satelliti dal pontefice e i solenni e pomposi funerali indetti, dal card. vescovo Pecci (oggi Papa Leone XIII) con la iscrizione satanicamente provocatrice messa sul catafalco: Beati mortui qui in Domino moriuntur …».
(Il risorgimento, in «Storia generale d’Italia», diretta da Pasquale Villari. F. Vallardi editore. Milano, 1881, pag. 376)
L’ambasciatore degli Stati Uniti a Roma, Stockton, scrisse al suo governo:
«Una soldatesca brutale e mercenaria fu sguinzagliata contro gli abitanti che non facevano resistenza; quando fu finito quel poco di resistenza che era stata fatta, persone inermi e indifese, senza riguardo a età o sesso, furono, violando l’uso delle nazioni civili, fucilate a sangue freddo»
(H. Nelson Gay, op. cit., p. 149)
Il New York Times, in riferimento alla vicenda della famiglia statunitense dei Perkins, testimone e vittima delle violenze, scrisse:
«Le truppe infuriate parevano aver ripudiato ogni legge e irrompevano a volontà in tutte le case, commettendo omicidi scioccanti e altre barbarità sugli ospiti indifesi, uomini donne e bambini».
(The Massacre at Perugia – The outrage to Mr. Perkins and his Party, «New York Times», 25 giugno 1859[3])
Le responsabilità
Rimane oscuro fino a che punto Pio IX possa essere ritenuto responsabile dell’accaduto. Alla sua partenza da Roma, pare che Schmidt abbia ricevuto le seguenti istruzioni segrete, firmate dal Cavalier Luigi Mazio, Uditore generale militare (che assunse la carica di Commissario Sostituto del Ministro pontificio delle armi, essendo essa vacante, così come quella del Ministro):
Il Sostituto del Ministero C.L. Mazio»
(in R. Ugolini, p. 357 e in H. Nelson Gay, op. cit., p. 119)
L’ordine, divenuto pubblico il 29 giugno, fu smentito dal governo pontificio, che lo definì «maligna invenzione».
Reazioni e onorificenze
Anche per la presenza, durante le violenze, di una famiglia statunitense (la famiglia Perkins), le stragi di Perugia ebbero larga eco in tutto il mondo, venendo recepite come “stragi autorizzate dal papa”, e divenendo un punto fermo della tradizione patriottica cittadina. Non si deve al caso ma a una consapevole pianificazione se, durante la seconda guerra mondiale, la liberazione della città, già abbandonata giorni addietro dagli occupanti nazisti, fu fatta coincidere con la ricorrenza della strage del 20 giugno.
Il poeta Giosuè Carducci scrisse su questi fatti un famoso sonetto Per le stragi di Perugia nel quale sottolineò appunto il tradimento dell’insegnamento di Cristo da parte di chi si arrogava il ruolo di rappresentarlo su questa terra.
Per le azioni compiute a favore dell’Unità d’Italia, la città di Perugia è la nona tra le 27 città decorate con medaglia d’oro come “benemerite del Risorgimento nazionale”.
La Società Generale operaia di Mutuo Soccorso degli Artisti ed Artigiani di Perugia detiene, all’interno del suo archivio, i labari storici, listati a lutto, che ricordano le vittime della strage e che, all’inizio del secolo scorso, erano posti nei luoghi ove si svolsero gli avvenimenti.
Papa Pio IX istituì la medaglia “BENE MERENTI” per la presa di Perugia da assegnati ai soldati pontifici che parteciparono alla presa della città.
Il 20 giugno è diventato per il capoluogo umbro la festa della laicità. E c’è un Pasquino umbro che ogni anno realizza una pasquinata per commemorare l’evento (pasquinata per il 2008, pasquinata per il 2009, pasquinata per il 2010, pasquinata per il 2011, pasquinata per il 2012).
Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno chiesto più volte scusa per pagine buie del passato della Chiesa, e purtroppo anche del presente, come per i reiterati casi di pedofilia fra membri del clero in vari paesi del mondo: ma non c’è stato ancora un pentimento ufficiale per la feroce strage compiuta a Perugia dalle truppe vaticane: nel frattempo la Chiesa che non si è mai scusata per tali stragi ha nominato beato Pio IX il 3 settembre del 2000 sotto il pontificato di Giovanni Paolo II.
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