- Anno: 2015
- Durata: 93'
- Genere: Drammatico
- Nazionalita: Turchia, Germania
- Regia: Emine Emel Balci
Non stupisce che il film Until I lose my breath (Nefesim kesilene kadar) della giovane regista turca Emine Emel Balci (classe 1984), già presentato al Forum della Berlinale, abbia conquistato il Premio Espressione Artistica nel concorso ufficiale della 21^ edizione del Med Film Festival di Roma, dove è stato selezionato e proposto con successo. Benché infatti il personaggio di Serap, la giovanissima operaia tessile protagonista del film che lavora in una fabbrica alla periferia di Istanbul, risulti volutamente tetro, rigido e poco simpatico, pure rende perfettamente conto del degrado morale e materiale in cui ci si può trovare a vivere, in mancanza di certe condizioni, anche in una società che si ritenga moderna e sviluppata. La vita di Serap, ripetitiva e routinaria, è infatti una lunga sequenza di lotte, affanni ed umiliazioni: dalla mattina alla notte lavora come un mulo, senza concedersi mai una pausa, mai un sorriso né un momento conviviale. La regista riprende in maniera costante ed opprimente la protagonista e la sua profonda solitudine, senza mai staccare la macchina da presa dal suo corpo magrissimo e trascurato, dal suo volto accigliato, cupo e senza trucco, dai suoi abiti sempre uguali e privi di forma. Inseguendo il sogno di tornare a vivere con il padre camionista, andato via di casa tanti anni prima alla morte della madre – evento che condannò Serap e la sorella maggiore all’orfanotrofio – la ragazza risparmia fino all’ultimo spicciolo il denaro faticosamente sudato, e lo nasconde in fabbrica, per evitare che il cognato e la sorella, presso il cui squallido appartamento si appoggia, la derubino di tutto.
Fra le tante scene urticanti del film, infatti, forse la più penosa è quella della minuziosa perquisizione fisica operata dal cognato sul corpo di Serap, quasi denudata per essere certo che non nasconda qualche moneta, mentre la sorella, succube e connivente del marito, fruga nella borsa e fra le cose della ragazza. Così come drammatici e toccanti, pur nel gelo in cui sono immersi, risultano i ripetuti incontri fra Serap e suo padre: lei lo aspetta di notte nel parcheggio dei camionisti, gli regala denaro, si preoccupa della sua salute e fa progetti per una casa insieme – sorta di miraggio di un focolare ormai sconosciuto e sognato – mentre lui nicchia, prende tempo, trova sempre nuove scuse, fino a quella di un ultimo, importante lavoro in Germania. Quando, a completare un quadro di affettività negata anche a se stessa e di reiterata frustrazione, l’unica amica e collega che mostra un po’ di umanità a Serap le ‘porta via’ un potenziale ragazzo – dal quale peraltro lei rifugge pur desiderandolo – sarà il tracollo e la vittima sofferente si trasformerà in carnefice senza scrupoli. Una vendetta dolorosa ma necessaria, per ricominciare a vivere e riprendere forse in mano la sua vita.
Una denuncia di come le circostanze e l’ambiente, l’assenza di adulti significativi, possano oggi come ieri crescere generazioni anaffettive, senza riferimenti né capacità di gestire i propri sentimenti; uno spaccato sociale degno dei fratelli Dardenne, per la sobrietà quasi documentaristica e la capacità di descrivere un quotidiano senza concessioni, puntando il dito sulle cause e descrivendone gli effetti. Il film, magistralmente interpretato da Esme Madra (Serap), ha ottenuto il premio del MedFilm Festival con la seguente motivazione: “per l’efficace sobrietà del racconto di una ricerca d’identità e di rivendicazione, affidata ad una interprete intensa e semplicemente perfetta, diretta con maturità dalla regista alla sua opera prima.” Fra gli altri attori: Riza Akin, Sema Keçik, Gizem Denizci.
Merita sottolineare, in questa sede, il valore e lo spazio che il Med Film Festival ha saputo attribuire quest’anno alle donne registe, che sono risultate un terzo sul totale dei filmakers e 27 nell’intero programma 2015 comprendente lungometraggi, documentari e cortometraggi; inoltre molte delle opere selezionate – un esempio emblematico fra gli altri il film israeliano Mountain di Yaelle Kayan – hanno trattato tematiche legate alla condizione delle donne ed al loro desiderio di emancipazione.
Elisabetta Colla