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XXV edizione de “Il cinema ritrovato” (Bologna, 25 Giugno – 2 Luglio 2011)

Creato il 04 luglio 2011 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

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In tempi di tagli, la venticinquesima edizione del festival diretto dal finlandese Peter von Bagh ha sfoderato un programma per tutti i gusti, ricco di sezioni e proiettato in una sala in più (oltre alle due del Lumière e all’Arlecchino, si è aggiunto il Jolly).

Una piazza Maggiore sempre piena ha ospitato le serate del festival, con classici restaurati muti quali Le voyage dans la lune, Nosferatu, Il fantasma dell’Opera, e sonori come Il ladro di Bagdad, film ancora incantevole per colori, scenografie, invenzioni e piacevolezza del racconto d’avventura, e Gli uomini preferiscono le bionde, prima del quale una delle visioni più inaspettatamente emozionanti: Les bords de la Tamise d’Oxford à Windsor, breve film del 1914 dal titolo eloquente che, accompagnato dalla fisarmonica di Marc Perrone e con una resa di colori impressionante (i riflessi sull’acqua), è qualcosa tra il magico e il rilassante.

Ecco, i colori: il cinema non è mai stato realmente in bianco e nero e “Il cinema ritrovato” non manca di ricordarlo, da anni, nella sezione “Alla ricerca del colore nel film”. Qui, oltre a film sonori “risistemati” – La caduta degli dei, French Cancan – un bel po’ di brevi muti colorati a pochoir, qualche volta in modo un po’ rozzo, altre volte abbastanza sorprendente. Seguire il festival vuole anche dire non finire mai di scoprirne di questi tesori delle cineteche e “assaggiarne” a piacimento.

Pure la sezione Cento anni fa, curata dalla benemerita Mariann Lewinsky, dà modo di vedere un’ampia selezione di titoli muti, risalenti a un secolo fa (o quasi). Programmi a tematica storica – non irresistibile, ma chiusa da un simpatico Tontolini suonatore di un clarino che fa ballare chiunque – dedicati alla guerra italo-turca del 1911, alla “nascita del giallo”; una selezione di titoli Gaumont tra fonoscene, drammi, documentari e film comici che, per inciso, rivelano la straordinaria bravura dei bambini: qui troviamo un maschietto furbo che finge di stare male per riavere l’amata governante in Le signalement, nella sezione sul colore, invece, la bambina che si ritrova in casa un evaso assassino.

Restando al muto, un ampio omaggio è stato dedicato ad Alice Guy, regista, produttrice, distributrice operante prima in Francia e poi, con la sua casa Solax, negli Stati Uniti. All’interno di uno dei blocchi a lei dedicati si è visto il primo film all-black della storia, A Fool and His Money, storia di accettazione sociale, ascesa e caduta in base alla ricchezza. Uno dei più importanti film ritrovati proiettati in questa edizione (Ritrovati e restaurati è la sezione) è Gränsfolken di Mauritz Stiller, che narra la rivalità amorosa fra due fratelli che poi dovranno combattere su fazioni opposte; film appartenente al primo periodo, di cui non si possedeva alcun titolo, dell’importante regista svedese.

All’interno della manciata di titoli nuovi in anteprima si è visto con piacere The Artist, diretto da Michel Hazanavicius, con un Jean Dujardin molto bravo, già premiato a Cannes. Scommessa – un lungometraggio dal budget nutrito, muto, oggi – ed omaggio ad un’epoca del cinema, godibile da appassionati e non, fortunatamente non un esercizio di stile ma un film che non dimentica mai di raccontare una storia e in cui non mancano idee di scrittura filmica, per esempio quando “gioca” col sonoro – ed è sul passaggio travagliatissimo dal muto al sonoro per un divo che il film si incentra.

Di Howard Hawks, che il festival affronta dopo Frank Capra e John Ford, si sono visti i muti sopravvissuti, i primi sonori e alcuni classici successivi. Le tigri del Pacifico deve molto ad un grande Edward G. Robinson pescatore sui generis, di origine portoghese, che si illude di aver trovato l’amore. Mentre Ventesimo secolo è un grosso titolo della commedia Usa anni ‘30, meno stucchevolmente indiavolato di pellicole consimili. Anche se quel che diverte di più è forse l’anziano matto che appiccica di nascosto adesivi che invitano al pentimento.

Alberto Pezzotta ha curato una selezione di film di Luigi Zampa, grazie alla quale Anni facili si è dimostrato all’altezza del precedente Anni difficili, e sicuramente tra i film più riusciti del regista. Divertente, molto amaro, con un Nino Taranto più misurato del solito e una coscienza politica-civile che trasuda da ogni poro. Deludente e debole invece Les gaîtés de l’escadron, commedia di ambientazione militaresca del 1932 diretta da Maurice Tourneur, di cui sono stati proiettati i primi film sonori. Con Fernandel, un giovane Jean Gabin soldato fannullone e colori a sprazzi (tracce di una copia tutta colorata perduta).

Alessio Vacchi


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