Oggi sono affetto da una pigrizia senza scampo e quindi mi limito a riportare, appena un po’ aggiustato e integrato, un intervento nella discussione sul problema Xylella, presente su Micromega.
Ciò che in sostanza viene detto nel pezzo specifico e accennato o trattato in altra forma negli altri è che la colpevolezza della Xylella nel disseccamento degli ulivi del Salento non è provata in modo assolutamente certo e inconfutabile: dunque la decisione di abbattere in massa le piante infestate dal parassita nasconde altri piani e altre inquietanti intenzioni.
Ora non ho la competenza agronomica per stabilire se soluzione intrapresa dalla Regione Puglia e sostenuta da Bruxelles sia l’unica possibile o sia quella più opportuna, ma faccio notare che fondare la propria contrarietà esclusivamente sulla mancanza di una univoca correlazione di causa ed effetto tra Xylella e disseccamento degli ulivi è mutatis mutandis lo stesso atteggiamento dell’Ilva e degli avvelenatori dovunque essi agiscano: non c’è una prova certa. Ma mettiamo che anche senza una dimostrazione definitiva la Xylella possa essere effettivamente per così dire l’agente patogeno, eventualità che non mi sembra affatto esclusa nemmeno dagli scriventi: in attesa di una prova assolutamente certa, ammesso e non concesso che la si possa raggiungere nel corso di qualche anno, accettiamo il rischio di far diffondere la moria a tutti gli ulivi del Salento e magari della Puglia o dello Stivale? Dov’è andato a finire il principio di precauzione continuamente invocato in altri casi?
Il problema non è di poco conto perché investe la capacità di immaginare e agire in termini globali e politici su ciò che sta accadendo: il fatto è che le multinazionali del cibo e la loro agricoltura proprietaria e brevettata – timore evocato anche in questa vicenda – non si combattono certo arroccandosi su posizioni poco difendibili che tra l’altro prendono a prestito le speciose argomentazioni tante volte tirate fuori da chi devasta l’ambiente o causa quei cambiamenti climatici a cui probabilmente si deve questa catastrofe degli ulivi salentini: queste anzi sono manna per chi vuole appropriarsi della terra perché alla lunga finiscono per dimostrare la poca credibilità di chi si oppone al loro disegno e al tempo stesso contribuiscono a mettere in ombra i veri nodi del problema.
Che sono quelli provocati dalla forma di capitalismo attuale: gli straordinari progressi nel campo della biologia avvenuti negli ultimi 60 anni, consentono ai grandi gruppi di potere di impadronirsi degli “strumenti di produzione” del cibo, ovvero sementi, tecniche, terreni, forza lavoro, sostanzialmente replicando in agricoltura il modello industriale e le sue logiche proprietarie. Tutto questo non trova una resistenza sul piano politico e legislativo in grado di contrastare efficacemente la logica di fondo: anche le grandi organizzazioni ambientaliste, tutte più o meno riconducibili per li rami ad un ambiente americano, non sembrano interessate a mettere nel mirino le contraddizioni del sistema ( e dunque anche le prerogative imperiali), ma si illudono e illudono di poter ottenere dei risultati agendo all’interno di questa cornice di potere e relazioni.
Sono andato un po’ troppo lontano, ma tornando nel concreto agli ulivi sarebbe più interessante battersi sul piano politico perché la decimazione delle piante malate non porti all’espropriazione della terra e delle produzioni, piuttosto che appellarsi alla “non certezza” riguardo alle cause dell’epidemia. Con il pericolo – molto concreto – che l’infestazione si estenda fino a un punto tale da rendere impossibile reperire le risorse per difendere i produttori locali e le produzioni tradizionali. Allora sì che le multinazionali caleranno in massa e su territori assai più ampi, come ultima spiaggia.
Capisco che nell’immediato sia più facile chiamare a raccolta, oltre che interessi locali, un malpancismo generico, quasi sempre incapace di farsi realmente politico e di uscire da un ossessivo quanto poco utile complottismo o dal un pervicace illusionismo new age. Ma le strade facili portano all’inferno.