Ya Salam, Santa pace.
Si vis pacem para bellum, dicevano gli antichi. E se la pace non fosse quello che ci si aspettava? Se la parola pace non fosse sinonimo di umanità ritrovata, ma di continua disumanizzazione? E se la pace fosse popolata da spettri, fantasmi e relitti umani, continueremmo comunque a chiamarla pace?
Ya Salam! di Najwa Barakat è uno dei romanzi sulla guerra civile libanese più anticonvenzionali che mi sia capitato di leggere fino ad ora: surreale, ironico, crudo e amaro, in alcune parti quasi disgustoso da leggere.
Come molti romanzi sulla guerra civile che ha insanguinato il Libano dal 1975 al 1990-91, è ambientato nella capitale, Beirut. La Beirut dei romanzi di Elias Khoury e Hoda Barakat, due scrittori libanesi con cui Najwa Barakat, nata a Beirut nel 1966, ha molto in comune.
La Beirut del romanzo è una città trasfigurata dopo la guerra: è un territorio popolato da affaristi, prostitute, immigrati, ex guerriglieri disperati, donne allo sbando, fantasmi degli uomini e delle donne di un tempo.
Foto di Gabriele Basilico dalla serie “Beirut 1991″
Beirut è un palcoscenico dell’assurdo, una città allucinata e sudaticcia che prova a rinascere dopo 15 anni di guerra dimenticando il suo passato e che permette ai nuovi ricchi, i suoi nuovi padroni, di ricostruirla ex novo sotterrando le rovine su cui la città era stata costruita in passato.
Una città da cui fuggono anche i figli dei migranti che l’avevano abbandonata in tempo di guerra e che erano tornati a guerra finita, nella speranza di dare una mano per ricostruirla: Perchè mio padre è nato qui? Che ci sono venuta a fare io in questo paese? Si chiede Chirine, una giovane architetto libanese francesizzata.
In questo cimitero di anime alla deriva si muove il giovane Luqman, un ex miliziano che si era fatto un nome e una reputazione durante la guerra e che ora sbarca il lunario arraggiandosi alla buona. A Luqman manca la guerra, gli manca quello che era prima, quando il suo nome faceva tremare i suoi nemici:
Ti ricordi? Quelli sì erano bei tempi. Trafficavi con i tuoi detonatori e gli acquirenti arrivavano in massa. Domanda e offerta.
A Luqman, per quanto assurdo possa sembrare, manca la guerra e di questa pace lui, crudele e spietato assassino, non sa che farsene.
Non si riconosce in questo Paese pacificato, né vi si riconosce Salam, la fidanzata dell’Albino, un torturatore amico di Luqman, che le aveva promesso di sposarla ma che era morto poco prima di impalmarla, lasciandola nel limbo umiliante della donna nubile e vergine. La guerra le ha tolto il fidanzato e la pace le ha restituito l’amara realtà della zitella in là con gli anni che nessuno vuole e che nessuno rispetta.
La guerra manca anche a Najib, ex cecchino da poco uscito dall’ospedale psichiatrico, con cui Salam e Luqman mettono su un’impresa commerciale a Beirut con l’idea di arricchirsi. E i ratti, di cui Beirut è infestata, sono l’incubo dei beirutini. L’impresa di derattizzazione a cui i tre si dedicano è la “molla” narrativa che darà il via ad una serie di eventi catastrofici, descritti dalla penna lucida di Barakat con ironia e profonda amarezza.
Non ci sono vincitori in Ya Salam!: Luqman, Salam, Salim, Najib, l’Albino e Lorisse, i personaggi del romanzo, sono dei perdenti, che di volta in volta diventano carnefice e vittima. Tutti cercano una via di fuga dal presente e un riscatto dal proprio vergognoso passato. Ma la realtà è più sordida, marcia, puzzolente e cruda che mai.
Barakat non risparmia nulla ai suoi lettori, non addolcisce la pillola. Nelle 167 pagine di cui questo breve romanzo è composto, leggiamo di vermi, follia, sangue, percosse, vomito, incesto, veleni e peste. E tutto questo avviene in tempo di pace. Sì, decisamente questa non è la pace che ci si aspetterebbe in tempo di pace.
Non ci sono vittime in questo romanzo, ma forse non è del tutto esatto: la vittima è l’essere umano che ha perso la propria umanità nei quindici anni della guerra civile libanese e che fatica a ritrovarla, a guerra finita.
Ya Salam, Santa pace.
_____________________________
Ya Salam!, di Najwa Barakat (edizione originale pubblicata da Dar al-Adab, Beirut). Traduzione dall’arabo di Stefania Lo Sardo. Epoché, 2007; pp. 167, € 13,50