Milano, Lo-Fi.
“L’estate sta finendo” recita il titolo dell’evento curato da Hard Staff e Solomacello, e non poteva essere più rappresentativo di un inizio stagione umido e viscoso. Il Lo-Fi, inserito nella zona industriale di Milano, cristallizza la pressione atmosferica e s’inchina all’autunno freddo e grigio che ci attende.
Iniziano, abbastanza in orario, i nostrani Kröwnn, gruppo attivo da un paio d’anni, autore di due album intrepidi, che hanno aiutato a fissare i temi chiave dell’immaginario fantasy – ma comunque tenebroso – della band. Dal vivo rendono in modo cupo e distorto il proprio lavoro, così da farlo attraversare da una nebbia che poi avvolge chi ascolta e lo trascina negli ambienti surreali rappresentati nella copertina di Hyborian Age. Visto il timbro old-school, i Kröwnn dialogano benissimo con il resto delle band, in particolare coi Pallbearer. Tengono vivo il palco e caricano la folla, in particolare la bassista, che suona molto vicino al suo pubblico.
Purtroppo l’atmosfera fantastica e pesante creata dai Kröwnn non troverà evoluzione nel concerto degli Zodiac, band che di recente è passata pure dal Roadburn. Il blues semi-tradizionale di impronta Delta che si vuole ricordare risulta in questo caso noioso e fuori contesto. Chi è qui in attesa di bassi pesanti e chitarre dolorose si perde nel melenso degli Zodiac (anche loro sono consapevoli di non essere nel luogo ideale e sul palco lo ammettono). Il suono scarno abbassa i toni della serata e, una volta terminato il live, si ripensa a quanto appena sentito come a un vecchio blues rock che magari avrebbe reso di più in condizioni diverse.
Ci pensano i Pallbearer a far tornare il fuoco in sala. Come succede sui loro dischi, incendiano l’aria circostante, e la voce, come una lama che taglia della carne fresca, sventra i bassi privandoli del panico che li renderebbe una band sludge, ma con quest’ultimo genere i Pallbearer vogliono avere relativamente a che fare. Infatti la loro ricerca si basa intorno a un suono ormai vintage, che sembrava dimenticato negli scorsi anni ma che, lentamente sta fuoriuscendo sempre più. Un doom classico, disteso ma che non dimentica le radici oscure, con un cantato chiaro e squillante. Il loro set potrebbe benissimo chiudere la serata in modo soddisfacente, ma – ancora meglio – riesce ad agitare la location per gli Yob, i protagonisti ufficiali.
Intorno a mezzanotte, il Lo-Fi è pronto per dare il massimo di sé. I presenti sono ben immersi e bloccati nel fango, l’attesa dura poco e fin dal primo passo mosso sul palco gli Yob tirano fuori i denti e fanno intuire a cosa si sta andando incontro. Bastano poche, lunghe note per capire che l’impianto del locale riuscirà a rigurgitare terra bagnata densa e amara, facendoci sentire tutto il suo attrito. La parte arida verrà trasmessa dagli assoli di chitarra che si intersecano nei pezzi da 25 minuti tipici del gruppo dell’Oregon. Fra il pubblico non scatta nessun particolare headbanging, tutti preferiscono appoggiarsi sull’aria spostata dal fracasso della batteria. Il locale vibra, anche andare in bagno diventa problematico, in quanto la tavoletta non rimane ferma. Il pesantissimo minimalismo del basso risucchia l’eterno live (quasi due ore) in una lenta spirale autodistruttiva. Alla fine di ogni pezzo Mike Scheidt esalta gli spettatori con urla primitive fino al momento del bis, senza cerimonie e senza abbandonare il palco, con l’unica intenzione di far esplodere qualche cranio.
Grazie ad Eugenio Crippa per le foto.
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