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Per un periodo della mia vita ho praticato lo yoga. Con semplicità, impegno, dedizione. Ho iniziato quasi per caso, nella palestra delle mie vecchie scuole elementari, con una tuta grigia e un tappetino di quelli lunghi e stretti che si richiudono a rettangolo, cullata dalla voce della mia insegnante e dai sorrisi delle nuove compagne di corso. Sono convinta che, come in tutto quello che facciamo, la fiducia fa già il 50% del lavoro, ma la pratica mi ha aiutata molto, in quegli anni. Semplicità, concentrazione, fermezza. Se cerchi l'acqua, è inutile fare tanti buchi superficiali: bisogna farne uno e andare a fondo finché qualcosa non si trova. Non sempre sono stata capace di tenere fede a questo precetto, ma ce n'è uno, ancora più semplice, che porto ancora con me e che elargisco a piene mani quando ne ho l'occasione: dove c'è il respiro, non c'è spazio per l'ansia. Così a volte una lezione di lingua o i momenti che precedono l'entrata in scena si trasforma in un bignami yogico: "Se senti che non ti ricordi più niente, mettiti a respirare concentrandoti sulla pancia che si riempie e si svuota", che poi spesso si riassume nell'ancor più banale "Se non sai più che pesci pigliare mettiti a respirare". Funziona, anche per quelli che "subiscono" queste piccole pillole da parte mia.Avevo comprato uno di quei materassini bellissimi per andare a La Spezia a fare un corso quadriennale per diventare insegnante di yoga, ma alla fine del primo anno ho smesso. Adesso pratico un po' dove capita, senza quella costanza di anni fa, senza il mio super-materassino che qui non riuscirei neanche a stendere, ma sempre con semplicità.
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