All’epoca de La Grande Bellezza, il mondo si divideva in due.
Quelli a cui era piaciuto da morire e quelli che lo trovavano orribile. Non sembravano esserci mezze misure possibili.
Io, che con le mezze misure non ci sono mai andata d’accordo, per una volta, con mia grande sorpresa, stavo nel mezzo. C’erano cose del film che mi avevano fatto impazzire e cose che invece non avevo potuto sopportare, e quel rollercoaster di su e giù, sommato alla lunghezza che a me risultava eccessiva, non mi avevano mai dato la possibilità di amare veramente il film.
E se non è vero amore, al cinema, che gusto c'è?
Mi sono quindi avvicinata a Youth, l'ultimo film di Paolo Sorrentino uscito da un paio di settimane qui in Francia, in maniera circospetta, spaventata all’idea di ritrovarmi in un turbinio di sensazioni contrastanti.
E invece!
Fred Ballinger e Mick Boyle, due amici di vecchia data, hanno l’abitudine di trascorrere le loro vacanze estive in una spa svizzera per ricchi. Il primo è un direttore d’orchesta in pensione, il secondo un regista che continua a lavorare. Intorno a loro, una serie di personaggi che popolano la clinica: c’è la figlia-assistente di Fred che è appena stata lasciata dal marito (il figlio di Mick, per altro), ci sono i giovani sceneggiatori che aiutano Mick a scrivere il suo “film-testamento”, c’è il giovane attore americano che si prepara per il suo prossimo importante ruolo, c’è un famoso ex-calciatore (che è chiaramente Maradona) a cui manca il fiato ed è lì per curarsi, c’è una Miss Universo che ha vinto un soggiorno-premio, c’è un emissario della Regina Elisabetta che cerca di convincere in tutti i modi Fred a condurre un concerto per il compleanno della sovrana. I due amici osservano, interagiscono con gli altri, parlano tra di loro di vecchiaia, malattie, morte, ma anche di vita, amore e desiderio. Quando in albergo si presenta l’attrice principale dell’opera omnia di Mick per informarlo che non parteciperà più al suo film, l’equilibrio che sembrava tenere tutto insieme si mette pericolosamente a vacillare.
Se dovessi scegliere un solo aggettivo per descrivere Youth, penso che niente renderebbe meglio l’idea della parola (per altro adorabile) flamboyant.
I dialoghi, le idee, le sorprese, i volti, ogni cosa si sussegue e si allaccia all’altra, lasciando lo spettatore senza fiato, sommerso ma mai perduto, travolto dal riso (perché si ride tanto, vedendo questo film) e sul bordo del pianto (una commozione che nasce spesso da una cosa da poco, ma magnificata, intensificata allo spasimo). E’ questa armonia, per me, che mancava alla Grande Bellezza. Sorrentino sguazza nel “troppo” e se ne fa carico beato, mettendo la barra sempre più alta, fregandosene delle conseguenze (dell’amore). Butta dentro tutto e lo fa frullare ad un ritmo vorticoso, spargendo in giro pezzettini di meraviglia. Penso a delle figure minori e straordinarie come la ragazzina che fa i massaggi e balla davanti alla TV, o la prostituta bruttina, sfigata e tenerissima, o la stessa Jane Fonda, una parte brevissima che vale il film: il suo volto stravolto dal trucco, moderna Norma Desmond sul viale del tramonto, filmata in quello stupendo contro-campo tutto nero con solo le luci da cinema come se dietro la cinepresa ci fosse Robert Aldrich, a me personalmente hanno levato il fiato.
Così come mi ha levato il fiato, ma questo succede da tutta la vita, l’interpretazione di Michael Caine. Che dietro a quell’aria noncurante, da come-mi-viene-facile-fare-l’attore, nasconde una bravura feroce. E attraverso quell’ironia sottile e quella misura, riesce sempre ad arrivare al punto e ad essere credibile anche quando si mette a dirigere un concerto di campane da mucca. Accanto a lui, sembrano tutti dare il meglio: Harvey Keitel in un registro sobrio che gli si addice più di mille cattivi tenenti, Paul Dano che ormai chi lo ferma più, quello? E Rachel Weisz, più bella e più brava ad ogni film, se possibile.
Se siete di quelli celebrari, di quelli che vogliono la trama a tutti i costi, gli angoli smussati, e nessuna sbavatura, allora vi sconsiglio di andare a vedere questo film. Qui è tutto uno strabordare, un andare oltre, un’esagerazione. E’ prendere o lasciare. O ci si lascia imbarcare, o tanto vale restare a casa.
Sarebbe un peccato, però, perché di viaggi così se ne vedono veramente pochi, sullo schermo.
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