Adolf Hitler, in divisa militare, dopo aver camminato impettito e severo nel giardino, si ferma.
Non è Hitler, è Jimmy Tree, in una ricostruzione perfetta del personaggio.
Guarda Mick Boyle, e racconta la vita, e i desideri, e la letteratura, quella fatta di carne.
Racconta di un film, che poi sarà il suo, e quello delle nostre vite.
“Io devo scegliere cosa voglio raccontare, e ho scelto di non raccontare l’orrore ma il desiderio, perché è quello che ci rende vivi.”
Desiderare è l’unico momento in cui le cose prendono vita con il ritmo giusto.
Il desiderio, sia esso immorale, umano, forte, preciso, volgare, goffo, malinconico.
L’unico modo per perdonare un po’ la vita, che delle volte, diventa imperdonabile.
Desideri, libertà, e futuro.
Perché quando c’è futuro, c’è sempre la possibilità di essere liberi, o diventarlo.
Ancora, e ancora.
Nonostante le rughe, la prostata, e una vecchiaia senza motivazioni (“dunque, sono vecchio, ma non si capisce perché sono vecchio”).
Che poi, lo dimostra Diego Armando Maradona.
Il quadro della decadenza fisica, e materiale, di un passato vertiginoso, e spettacolare.
Maradona è sul terrazzo, in mutande, semidisteso sul lettino.
La moglie, ai suoi piedi gli sta massaggiando le enormi gambe doloranti.
Lui, con lo sguardo perso, ha una visione, sembra il momento prima di una partita di calcio importante.
L’argentino si commuove, e piange lacrime nascoste.
La moglie solleva lo sguardo verso di lui: “A cosa pensi?” “Al mio futuro”.
Sorrentino, il 28 maggio al Modernissimo, cinema storico, e poetico di Napoli, racconta al pubblico che la scena di Maradona, è l’unica concessione alla malinconia, e alla nostalgia, in un film che definisce ottimista senza essere generico, e positivo senza essere retorico.
Perché, nonostante le voragini, e le lacrime, e la commozione, Sorrentino in Youth, riesce ad essere leggero, e mai superficiale, sentimentale, e mai banale.
Il suo sentimentalismo incantato, ultimamente raccontato in una prospettiva cinica e disincantata, come una sorta di romanticismo tradito e messo all’asta, prende forma attraverso una fotografia magistrale, e una colonna sonora meravigliosa, d’impatto visivo, ed emotivo fortissimo.
La forma fisica si contrappone a quella intima, e spirituale.
La materia dei corpi diventa sostanza di anime.
Come la passeggiata tra Mick Boyle (Harvey Keitel) e la escort poco aggraziata, mano nella mano, due solitudini che si fanno compagnia, per fregare la vita, almeno in una notte.
Lenti, e soli.
Stanchi, ma mai finiti.
Perché la libertà, qualche volta, sottende solitudini tenere, e selvagge.
O come l’acutezza intellettiva di Miss Universo (Madalina Diana Ghenea).
La frustrazione emotiva di Jimmy Tree (Paul Dano), attore californiano, e lettore di Novalis, che cerca una casa, forse la casa del padre.
La carezza nascosta di Fred Ballinger (Michael Caine) alla figlia, proprio lui, che “ha impiegato ottant’anni per dire una cosa romantica e a chi la va a dire? All’emissario della regina”.
E Lena (Rachel Weisz), il suo abbandono sofferto, e le sue lacrime di rabbia.
E Brenda Morel (Jane Fonda), forte, e decisa, alla fine sfigurata dal dolore, e dalle lacrime.
E la ragazzina della musica, e delle mani, che non hai mai niente da dire, eppure dice tutto.
I desideri, i sogni, i tradimenti, l’amicizia fatta solo di parole belle, le sceneggiature, i film fatti, i testamenti sentimentali, i mancini, i mimi che annoiano, le colonne sonore, le mogli consumate, i ricordi che non sbiadiscono, la prima volta in bici, i silenzi tra gli amanti, la meditazione, la leggerezza, i “nonostante tutto”, le canzoni semplici, le attese, le cadute, Venezia, i corpi, le lacrime, l’incanto, la vecchiaia, e la giovinezza.
Tutto si mescola alle emozioni, e alla vita.
All’amore, e alla routine.
Perché è una stronzata che le emozioni sono sopravvalutate.
“Le emozioni sono tutto quello che abbiamo”.
A cura di Natalina Rossi.