Potremmo stare ore ed ore a discutere di "Youth: La Giovinezza", perdere voce ed energie pur di provare a far valere un opinione su di un'altra, ma su una questione tuttavia dovremmo comunque essere tutti d'accordo: Sorrentino ha stravinto.
Ha stravinto perché può permettersi di fare un film come questo, ha stravinto perché, possa piacere o meno e venga capito o meno, di lui e del suo lavoro se ne parlerà a prescindere fino alla nausea, senza alcuna possibilità, ovviamente, di risolvere il diverbio. E questi sono onori che accadono solamente a coloro divenuti (o considerati) Grandi Maestri.
Ora, se Paolo Sorrentino sia un Maestro o meno, non sta certo a noi decretarlo, ma che sia Grande, sicuramente, è un dato di fatto su cui nessuno potrebbe mai mettersi ad obiettare. Discorso anagrafico a parte (cinquantacinque anni del resto non sono poi molti), stiamo parlando infatti di un regista magnifico, sperimentale, innovativo e spesso spiazzante, riconosciuto a livello europeo (e mondiale) come tra i migliori talenti in circolazione. Un peso non da poco, insomma, di cui lui stesso è consapevole nei minimi dettagli e con il quale, merito del il suo ego, è sceso a patti prendendosi il lusso di ricavarne persino dei vantaggi.Uno di questi è proprio "Youth: La Giovinezza", una pellicola probabilmente figlia delle bozze di uno scrittore adagiate a forza su di una struttura invisibile e inesistente. Una catena di dialoghi, di emozioni, di riflessioni e pensieri, attaccati tra loro con la colla e mai quindi davvero parte di un armonia come quella che sapeva creare il maestro d'orchestra Michael Caine, prima di entrare in pensione e ritirarsi in vacanza (a riposo) nello stranissimo albergo svizzero dove anche il suo amico fraterno Harvey Keitel sta scrivendo il suo film- testamento e, a sua detta, capolavoro. Un luogo astratto, riposante, allo stesso tempo però colmo di personalità variegate (tipo Maradona) alla ricerca di un equilibrio e di un senso che forse non esiste o non sono destinati a trovare. Comincia dalla vecchiaia allora Sorrentino, dalla meta in cui a certe domande si dovrebbe aver già risposto. Comincia da li per andare a ritroso, a ritroso verso una giovinezza che scopriremo, secondo lui, non è misurabile tanto con gli anni, o con l'avvenenza fisica, quanto con la voglia di potersi (e non volersi, attenzione) continuare a muovere ed emozionarsi. Questo perché per lui giovinezza è sinonimo di movimento, così come il movimento è vita, cioè la condizione basilare per fare, cambiare e modificare. L'età assume perciò le fattezze di un elemento relativo, confusionario, che imporrebbe un determinato stato e approccio, ma che può essere scavalcato nell'istante in cui ci rendiamo conto di stare ancora bene come cavalli e di avere occasione per procedere sulla nostra strada, come eravamo da sempre abituati a fare (guardando al futuro).
Nella dose di appunti raggruppati da Sorrentino - che per l'occasione torna a scrivere senza un aiuto al suo fianco (e si sente) - però c'è di più. Uno spazio che va a sconfinare dalle riflessioni accampate nei meandri della terza età, allargandosi a tutto tondo alla ricerca di risposte su leggerezza, desideri ed epifanie, quelle orbitanti attorno all'essere umano, eppure costantemente irraggiungibili, dimenticate e bramate. Come anticipato d'altronde "Youth: La Giovinezza" è un contenitore di emissioni, frutti della mente di un vulcano inarrestabile, che prova a studiare, ogni tanto ironizzandoci su, curiosità e paure che girovagano sciolte nel cervello e chiedono di venire quantomeno notate e analizzate.
Un trattato allenato per corteggiare la vita, ammirarla, assaggiarla, ma incapace di comprenderla nonostante la buona volontà e l'interesse vorace di farlo. Un'azione carica di umanità, ma inquinata dalla presunzione e dall'arroganza tipica di Sorrentino, la stessa che fino ad ora lo aveva portato in alto fino all'Olimpo, e che adesso - chissà magari per sue stesse intenzioni - appare come non mai prepotentemente fuori luogo e ingiustificata.
Sta di fatto che un principio di dubbio che tra le viscere di questa pellicola possa esserci in realtà qualcosa di davvero compiuto resta ed è persino una frustrazione enorme. Come un pilota alle prese con una macchina bellissima, esteticamente formidabile, con interni e accessori da sturbo che non riesce a intuire come andare oltre la terza marcia. Impossibile certificare se per sua stessa colpa o per quella della fabbrica.
E "Youth: La Giovinezza" è esattamente come quella macchina: elegante, attraente, estasiante, ma maldestro quando si tratta di dover smettere di scaldarsi per fare sul serio e ultimare.
Certo, rimane da capire se la colpa è di noi-piloti o di Sorrentino-fabbrica.
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