di Antonio Matteo Ghione
Tutti i ragazzi corsero nelle loro case, dileguandosi in fretta dalla piazza del campanile. Tutti tranne Russell che, come il povero Frederick, era rimasto orfano da ormai molti anni. La scomparsa di Frederick non era stata denunciata da nessuno proprio perché nessuno poteva immaginare che fosse scomparso, visto che non aveva qualcuno a casa ad attenderlo.
Russell, trovatosi solo al crepuscolo, iniziò a vagabondare per il paese senza incontrare anima viva sul suo percorso. Aveva in testa i ricordi del tempo in cui i suoi cari erano al suo fianco a sorreggerlo, a spingerlo verso le sue sfide di bambino. Immagini annebbiate dal tempo ma vive più del sole che lo accompagnava in quella serata dalle stelle magiche.
Passeggiando si ritrovò senza accorgersi all’entrata del piccolo bosco. Non una persona lo poteva vedere, non un rumore umano si sarebbe potuto sentire nell’arco di svariati metri, nell’oscurità degli arbusti il buio era nero da smarrire il fiato all’interno di un corpo quasi incapace di reagire a tale visione.
Da quel nulla tanto tetro quanto ironicamente curioso, ad Russell parve di sentire una voce. Una donna lo chiamava ma non riusciva a intenderne le parole. Iniziò ad urlare: “Chi sei? Parla. Chi sei?” ma l’unico suono percepibile era l’eco della sua giovane e squillante voce che rimbalzava sui tronchi. Preso dalla curiosità e spinto dalla voglia di aiutare quella misteriosa donna, fece alcuni passi dentro all’oscurità e, come tramortito da uno strano sortilegio, cadde anch’egli in trance.
La stessa forza che la notte prima aveva trascinato Frederick stava rapendo anche Russell. Non aveva alcun pensiero ora, non una battuta ironica su Zabéth, non una parola sull’amico, solo vuoto e nient’altro.
In pochi attimi si ritrovò di fronte al maestoso cancello. La sua pelle era ancora giovane e le capacità intellettive tornarono assieme alla vista. Il cancello si aprì e la forza ritornò a trascinarlo stringendolo sempre più forte per legargli gli arti. Vide l’eterno spettacolo del viale, i fiori degli alberi e ne restò estasiato. Superato il luogo in cui scomparì lo scheletro di Frederick iniziò a muovere le mani ma solo per vederle invecchiare, scalfirsi, squamarsi e disossarsi. Dietro sé gli alberi dell’ultima parte del viale iniziarono a germogliare e i fiori a fiorire. Il suo scheletro cadde ai piedi di un’enorme aiuola con al centro una fontana stillante acqua purissima e finì per essere assorbito dalla terra.
Quando il sole tornò a splendere alto nel cielo Kyle si recò a casa di Russell. “Russell” urlò sotto la finestra alla sinistra della porta, “Russell, sveglia ti devo parlare” Egli non rispose e nessuno si affacciò a quella finestra per annunciare la scomparsa dell’amico. Dopo un attimo di esitazione Kyle decise di irrompere nella casa ma non vi trovò altro che il vuoto.
Il camino era freddo e il letto in ordine. Scappò verso la piazza, corse più velocemente possibile, incontrò alcuni anziani che si dirigevano verso la stessa destinazione, li superò e raggiunse gli amici nel solito punto in cui amavano riunirsi. “Ragazzi, ascoltate. Russell è sparito e di Frederick non sappiamo nulla. Dove sono andati? Perché non ci hanno detto nulla? Non è da loro comportarsi così”. In quel momento arrivò il gruppo di anziani appena superati nella corsa.
“Vedete? Gli anziani continuano ad incontrarsi e parlare senza lasciandoci in disparte. Non è possibile che loro non sappiano nulla” continuò Kyle.
“Kyle ha ragione, non è da loro comportarsi così. Frederick non è passato neanche oggi da mia sorella e il fatto che Russell vada via senza dir nulla non è normale” intervenne Gregor. “Ma noi cosa possiamo fare?” “non lo so Gregor ma voglio scoprire cosa sta succedendo”.
“Russell e Frederick erano gli unici orfani tra noi e poi ieri Russell non ha parlato di nuovo di Zabéth?” domandò con aria preoccupata la piccola Iris. “Già erano orfani. Zabéth invece, beh conoscete quanto me le storie che ci hanno raccontato gli anziani”.