La giovane autrice che ha esordito a soli venticinque anni con il romanzo best-seller “Denti Bianchi”(2000) presenta in quest’occasione una raccolta di saggi chiamata “Changing My Mind” e che è sottotitolata “Occasional Essays”, per specificare la natura eterogenea degli scritti. L’incontro di questa sera, invece, s’intitola “Lettore e Scrittore: Talenti a Confronto”; ci interessa quindi la vita di lettrice di Zadie, ma anche quella di scrittrice, sia chiaro. La recente maternità le ha ammorbidito i tratti e i capelli lunghi le donano: lei e Tishani Doshi si contendono sicuramente lo scettro di donna più bella del festival. Zadie ha questa voce bassa e parla con un tono così serio che alla radio mi era sembrata un po’ snob, quasi antipatica e altezzosa. Invece da questo incontro traspare proprio l’opposto: è un po’ timida e molto umile.
L’intervistatrice, Simonetta Bitasi, confessa di non essersi preparata come avrebbe voluto per questo evento, ma la colpa è di Zadie Smith, che le ha fatto rileggere i grandi autori di cui parla Zadie nel libro, che spaziano da Vladimir Nabokov a David Foster Wallace. Solo su una cosa non è d’accordo con Zadie: Grace Kelly è migliore di Katherine Hepburn, scherza Simonetta Bitasi. Perché tra i suoi saggi, che trattano gli argomenti più disparati, ce ne è anche uno sul cinema classico.
Nel caso dell’autrice, la saggistica è più personale della narrativa: si imparano molte più cose sulla famiglia e sulla vita di Zadie Smith nel leggere questo libro che non nei suoi tre romanzi. Lei spiega, ostinandosi a parlare il suo “italiano bambino”, che il ritratto di suo padre che aveva fatto in “Denti Bianchi” era comico e leggermente volgare. Ora che lui non c’è più, sente quindi il bisogno di omaggiarlo in modo diverso. Un discorso che è uscito anche nell’incontro con Hanif Kureishi, quasi che il loro “incrocio di antiche culture” abbia portato inevitabilmente ad uno scontro generazionale. O forse no, forse è inevitabilmente quello che succede agli scrittori, che “manipolano vite” anche in modo crudele.
Parlando della lettura, Zadie Smith è convinta che ciò che si legge dai 14 ai 16 anni sia quello che conta di più, che ti caratterizza maggiormente. Dev’essere stata piuttosto precoce come lettrice perché io le mie letture più importanti le ho fatte piuttosto tra i 16 e 18 anni. La lettura ti rende parte di una comunità: due persone sono accomunate solo dal fatto di essere dei lettori. Zadie Smith si fa delle domande buffe (“Ma che legge Berlusconi?”), poi spiega che la sua non era una famiglia di intellettuali, di qui il suo entusiasmo per il mondo dell’università. Zadie Smith, infatti, insegna scrittura creativa alla New York University ed insegna ai suoi studenti che, più che scrivere continuamente o tenere diari (“Quello è cazzo” dice lei, facendo ridere il pubblico in sala), è importante mantenere sia il “sense” che la “sensibility”, cioè non sacrificare il sentimento, la passione che si prova per la letteratura, per l’approccio analitico ai testi in questione.
Alcune domande interessanti arrivano dal pubblico, per esempio sul significato degli incontri con gli autori. Zadie ammette di essere andata solo una volta ad un incontro con uno scrittore che ammirava durante gli anni dell’università. Si trattava di Martin Amis, che per rispondere ad una domanda sul suo lavoro di scrittore e sulla sua giornata tipica rispose che scendendo la sera per cenare i famigliari gli chiedevano com’era andata la giornata e lui gli rivolgeva la stessa domanda, ma dentro di sé pensava “As if I give a fuck” (“Come se me ne fregasse qualcosa”). Ora i due si prendono in giro (“he teases me” dice lei in inglese) per via di questo episodio, ma all’epoca era rimasta perplessa. Dice che alle volte incontrare una persona che si stima può essere deludente o banale, come è capitato a lei nelle uniche due conversazioni che ha avuto con David Foster Wallace (una sui capelli delle donne nere, su quanto spesso si piastra i capelli per la precisione).
Alla fine ci rivela che ha in serbo per noi un romanzo di non più di 200 pagine, intitolato “NW”, il codice postale della zona di Londra dove è cresciuta, ma che ha bisogno ancora di qualche ritocco. D’altronde, con una bambina piccola, il tempo è poco e tutti le preoccupazioni vertono su questioni banali, come quale nido scegliere.
Inutile dire che ho ordinato questa raccolta di saggi (la voglio leggere in inglese) e che mi è venuta voglia di leggere come minimo Martin Amis e David Foster Wallace, che se piacciono a Zadie Smith credo (spero) che piaceranno anche a me, perché come ha osservato lei in questo splendido incontro, uno scrive quello che vorrebbe leggere.