Ci sono luoghi, paesi, nazioni che, per quanto vi è accaduto, sono destinati ad assurgere a vero e proprio paradigma del Male. Il Male con la emme maiuscola. Quel Male apparentemente demoniaco ma che, a guardare più da vicino, alligna nell’animo di ogni essere umano. Arturo Robertazzi decide di raccontarci una storia. Una storia che ha per sfondo il cupo e crudele paesaggio della guerra che, nei primi anni Novanta, travolse la ex Jugoslavia, precipitando la blindata tranquillità dell’appena tramontata Cortina di Ferro, in un orribile universo dalle fattezze bruegeliane, degno delle efferatezze e atrocità della seicentesca Guerra dei Trent’anni.Con un linguaggio sorvegliato e solo apparentemente lieve, l’Autore usa la parola come strumento per far risaltare il conflitto tra la convenzionalità della vita quotidiana e il suo improvviso trasfigurarsi in sequenza infinita di orrori. L’utilizzo sapientemente misurato della tecnica del flashback ci consente di comprendere ancora di più questo terribile confronto. Non esiste alcun eroismo nei personaggi di questa vicenda che si snoda nell’arco di una settimana. Non esiste alcuna pietà, né tantomeno alcuna consapevolezza. È come se ognuno di loro fosse pronto da tempo ad assumere le sembianze del carnefice o del perseguitato, senza possibilità alcuna di fuga dal proprio ruolo. Uomini e donne, tragici burattini nella mani di un destino fatto di morte. Ed è esattamente questa la sensazione che proviamo ogni volta che, distrattamente, abbiamo notizia delle varie guerre e dei vari massacri che, da sempre, rappresentano le escrescenze tumorali della nostra presunta civiltà. Arturo Robertazzi ci costringe a fare i conti con questa realtà. Con questa realtà dove ogni essere umano potrebbe improvvisamente trasformarsi, senza nemmeno averne la minima cognizione o il minimo sentore, in spietato aguzzino o in vittima predestinata. E potrebbe anche essere quella stessa realtà dove conduciamo le nostre tranquille vite, in questo preciso istante. È la banalità del Male di cui scriveva Hannah Arendt. Robertazzi ha avuto il coraggio di guardare nell'abisso. Per noi. Per tutti noi.Un libro.Zagreb, di Arturo Robertazzi (aìsara).
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Ci sono luoghi, paesi, nazioni che, per quanto vi è accaduto, sono destinati ad assurgere a vero e proprio paradigma del Male. Il Male con la emme maiuscola. Quel Male apparentemente demoniaco ma che, a guardare più da vicino, alligna nell’animo di ogni essere umano. Arturo Robertazzi decide di raccontarci una storia. Una storia che ha per sfondo il cupo e crudele paesaggio della guerra che, nei primi anni Novanta, travolse la ex Jugoslavia, precipitando la blindata tranquillità dell’appena tramontata Cortina di Ferro, in un orribile universo dalle fattezze bruegeliane, degno delle efferatezze e atrocità della seicentesca Guerra dei Trent’anni.Con un linguaggio sorvegliato e solo apparentemente lieve, l’Autore usa la parola come strumento per far risaltare il conflitto tra la convenzionalità della vita quotidiana e il suo improvviso trasfigurarsi in sequenza infinita di orrori. L’utilizzo sapientemente misurato della tecnica del flashback ci consente di comprendere ancora di più questo terribile confronto. Non esiste alcun eroismo nei personaggi di questa vicenda che si snoda nell’arco di una settimana. Non esiste alcuna pietà, né tantomeno alcuna consapevolezza. È come se ognuno di loro fosse pronto da tempo ad assumere le sembianze del carnefice o del perseguitato, senza possibilità alcuna di fuga dal proprio ruolo. Uomini e donne, tragici burattini nella mani di un destino fatto di morte. Ed è esattamente questa la sensazione che proviamo ogni volta che, distrattamente, abbiamo notizia delle varie guerre e dei vari massacri che, da sempre, rappresentano le escrescenze tumorali della nostra presunta civiltà. Arturo Robertazzi ci costringe a fare i conti con questa realtà. Con questa realtà dove ogni essere umano potrebbe improvvisamente trasformarsi, senza nemmeno averne la minima cognizione o il minimo sentore, in spietato aguzzino o in vittima predestinata. E potrebbe anche essere quella stessa realtà dove conduciamo le nostre tranquille vite, in questo preciso istante. È la banalità del Male di cui scriveva Hannah Arendt. Robertazzi ha avuto il coraggio di guardare nell'abisso. Per noi. Per tutti noi.Un libro.Zagreb, di Arturo Robertazzi (aìsara).
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