Zampugnari

Da Antonio

In coppia fissa: l’uno munito di zampogna, simile alla cornamusa; il secondo di ciaramella (o cennamella), altro strumento a fiato fatto di canne. Venivano soprattutto dall’Abruzzo, dal Molise e dall’Irpinia. Indossavano un giubbotto senza maniche di montone, calzavano un appuntito cappello guarnito di nastri.
Il loro arrivo in città coincideva con la festa dell’Immacolata. Tutte le botteghe, tutte le case che esponevano un’immagine della Vergine ottenevano musica in cambio di un piccolo obolo. Il cronista del 1840 annotò: «Cosiffatta serenata di chiamatasi anco l’albata». Gli zampognari tornavano nei giorni della vigilia di Natale a intonare le novene. Non c’è napoletano che non conservi uno struggente ricordo di musiche lontane.
Quelle figurine da presepio emozionano i poeti. Ferdinando Russo:
“ ‘O zampognaro esce arbanno e ssona
scetanno ‘e vasce d’ ’a strada sulagna.
Ullero ullero…’A sòleta canzone
d’ ‘a zampogna abbuffata, ca se lagna”.

E Pasquale Ruocco:
“sembra che, al suono delle ciaramelle,
scenda la pace e in ogni cuor si adagi,
mentre l’azzurra stella dei Re Magi
passa ed offusca tutte le altre stelle”.

Armando Gill, pioniere fra i cantautori, cantò “ ‘O zampognaro nnammurato”, ispiratagli da una storia vera. Gill usciva dal teatro Eden in una notte di dicembre. Appoggiato a un portone, avvolto in un cappotto che era stato blu, gli apparve un acerbo zampognaro che tentava di ripararsi dal vento.
«Come ti chiami?»
«Colosimo Capuano, vengo da San Sossio in provincia di Avellino».
Commosso da quegli occhi lucidi, Gill portò il giovinetto a casa sua, in viale Elena, lo rifocillò, ne raccolse le confidenze che diventarono canzone:
E succedette ca ‘na bella sera
Iett’ ‘a sunà a casa ‘e ‘na signora,
tappete, luce, pavimente a ccera,
ricchezze maie nun viste affin’allora;
ma se ‘ncantaie, cchiù de ‘sti rcchezze,
pe’ ll’uocchie d’ ‘a signora e pe’ li ttrezze.
Ullero, ullero,
fuie nu mistero;
quanno iette pe’ vasà a signora ‘e mmane
zitto sentette ‘e dì «Viene dimane».
Cielo, e comme fuie doce ‘sta nuvena…
e se scurdaie l’ammore ‘e Filumena…

L’epilogo è amaro:
Ma ll’urdema juranata che turnaie,
chella signora ‘a casa un ce ‘a truvaie.
Ullero, ullero,
sturduto overo,
avette ciente lire e ‘sta mmasciuata:
«Scurdatavella, chella è mmaretata».

Fin qui è cronaca vera. Una vasta aneddotica pretese poi di ricostruire il finale: ‘o zampognaro pentito ottenne il perdono di Filomena, una signora si riconobbe nella vorace protagonista della canzone e chiese invano a Gill l’indirizzo dell’amante di qualche ora. Fantasie, probabilmente.
Gli zampognari tornano, nell’aria frizzante del Natale. Soltanto pochi hanno l’antica divisa, molti indossano i jeans. E il consumismo ha gradualmente ridotto a pura abitudine quello che era un concertino di fede e di speranza.



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