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Ministro, c’è intanto un giallo: come mai il decreto da lei firmato il 20 dicembre non è stato ancora pubblicato? È passato un mese...«Non ne ho idea. Io ho firmato il decreto e l’ho mandato agli uffici competenti, secondo le usuali procedure».
È possibile che la Corte dei Conti lo tenga in sospeso?«Non penso proprio. E poi non credo che vi siano gli spazi perché la Corte dei Conti blocchi il decreto».
Secondo quanto risulta a Repubblica, la Rai è pronta a ricorrere al Tar contro il blocco del canone da lei disposto. Il consigliere Verro, anche se contrario allo scontro, di fatto lo conferma. L’hanno per caso avvertita?«Non mi risulta alcun ricorso in atto. Ripeto: si tratta di notizie che non trovano riscontro. E il perché lo spiega una lettera che ho qui sulla mia scrivania e che porta la data di ieri (lunedì 20 gennaio, ndr), firmata dal presidente della Rai, Anna Maria Tarantola, a cui mi lega un rapporto di amicizia e cordialità».
E che cosa dice questa lettera?«Che il collegio sindacale della Rai rileva la necessità di “un ribilanciamento di risorse da attuare con azioni di forte recupero dell’evasione”. Nessuna richiesta di aumentare il canone, dunque. Niente di niente. Piuttosto l’esortazione a fare di più per recuperare le ingenti risorse perse con l’evasione. Un punto che tra l’altro mi trova ampiamente concorde. Ne ho parlato anche con il direttore generale Gubitosi».
Lei dunque insiste nella sua strategia: il canone resta fermo, ma intanto si apre la caccia agli evasori. Perché mai questa linea dovrebbe essere efficace e vantaggiosa per la tv di Stato?«I numeri parlano chiaro. Aumentare il canone dell’un per cento, circa un euro e mezzo in più (ora è a 113 euro e 50, ndr),vorrebbe dire incassare 30-35 milioni. Ma l’evasione è arrivata a ben 450 milioni, il 25 per cento del totale incassato dalla Rai. Un’enormità. Basterebbe recuperare almeno 6-7 punti percentuali per risolvere molti problemi di bilancio e allo stesso tempo evitare di ritoccare il canone. Sono pronto a dare un contributo fattivo e concreto in proposito».
Ma perché ha deciso di impedire alla Rai di adeguare il canone all’inflazione? È stato forse il tentativo di recuperare consensi nel Paese vessato dalle mille tasse?«È stato un piccolo segnale che ho ritenuto giusto dare in un periodo così difficile per gli italiani e assolutamente non maturato in contrasto con la Rai, la più grande azienda culturale del Paese che io ammiro da sempre. Ogni accusa di demagogia mi sembra inutile e fuori contesto. Con quel provvedimento, che difendo, ho solo cercato di pesare il meno possibile sulla fiscalità generale».