Stone Town - Zanzibar - Il caravanserraglio.
Un piccolo balzo al di là del mare. Sembra un nulla e invece è un salto enorme, dall'Africa vera a questa terra di mezzo, né Africa, né Asia, misto perfetto in salsa araba, a sé stante e senza paragoni. Zanzibar, l'isola della spezia, l'avamposto dell'Oriente che arrivavano a predare la Grande madre ben prima degli Europei. Una mistura unica di India, di Medio Oriente, di antico e moderno. Terra di commercio soprattutto, sia questo fatto di schiavi neri, profumi forti o oggi, offerta di spiagge bianche e paradisi sognati su depliant patinati. Questo è sempre stato il destino dei luoghi di mercanti. La Zanghibar che raccontavano a Marco Polo in viaggio per tornare a Venezia, popolata di figure strane e forse paurose, come racconta nel cap. 187 del Milione:
Zanghibar (Zanzibar) è una isola grande e bella e son tutti idolatri e ànno loro linguaggio. La gente è grande e grossa che son sì grossi e li uomini sì vembruti (questo particolare colpisce sempre) che paiono gioganti e vanno tutti nudi e no si ricuoprono lor natura. E sono tutti neri e sono li capelli tutti ricciuti. Elli ànno grande bocca e naso tutto rebbuffato in suso e le labre e le nari grosse ch'è maraviglie, che chi li vedesse in altri paesi parrebbero diavoli. Qui si à le più sozze femmine del mondo ch'elle ànno la bocca e il naso grosso e corto, le mani grosse quattro cotante le altre.
Ma nessun timore ha mai fermato i mercanti, l'interesse per il guadagno, ma anche l'innata curiosità che li spinge verso lidi lontani dove le cose preziose costan poco e si possono scambiare con profitto, così questa terra di confine tra i mondi, ha sempre attirato genti da ogni mare. Attraversi lo stretto in un paio d'ore e la moderna nave è piena di volti antichi carichi di masserizie, che vanno dai "nasi rebbuffati" e nerissimi, ai lineamenti chiari e gentili di volti femminili a mala pena nascoste da veli trasparenti. Vedi barbe salafite sotto occhi cupi e atteggiamenti disinibiti fasciati in jeans strizzachiappe e dita nervose che martellano i tasti dei telefonini senza sosta. All'arrivo ti pare di esser calato in uno dei porti del Golfo di tanto tempo fa. Alla fonda barche di legno con vele triangolari beccheggiano su un mare di smeraldo, accanto a moderni yacht d'altura; sciabecchi e tartane di legni duri, plastica invadente e bianca, ricoperta di ottoni lucidi. Appena sbarcato la prima sorpresa, che ti definisce l'aria che tira. Un baraccotto sgangherato con gendarmi, l'ufficio della dogana. Niente da fare, anche qui come in tante altre sciocche e miopi parti del mondo, la pretesa di esser diversi, migliori soprattutto dagli altri, quelli di là, pigri, nullafacenti e suonatori di bonghi, che divorano le nostre sudate tasse, sperperandole in bagordi, è lì, sotto una bandiera diversa per distinguersi meglio, viva e presente attraverso la forma assurda ed antistorica di un incaricato assonnato che ti mette un inutile timbro su un passaporto, ulteriore baluardo carico di acredine, appiccicoso orpello ad ornare meglio la stupidità umana. Ci tengono molto qui a Zanzibar a distinguersi dagli altri, "quelli di là"; vogliono autonomia maggiore, hanno istituito un ulteriore piccolo parlamento locale, con ministerini fasulli e hanno anche un loro Presidente. Niente di nuovo sotto il sole. Un sole che qui è piuttosto forte e a volte cuoce le zucche tanto che, periodicamente scoppiano disordini separatisti e ci scappa qualche morto, magari un prete cattolico, perché come se non bastasse, a complicare le cose c'è anche 'sto problema della religione che crea ulteriori complicazioni. Stone Town, la vecchia capitale dell'isola è un delizioso esempio di città di mare araba dei tempi andati. Case piccole e affastellate disordinatamente attorno al porto, piene di vicoli in cui perdersi dopo pochi metri, una fila ininterrotta di negozietti, attività artigianali, piccoli locali, bar affollatissimi. Trine di finestre da cui immagini di poter essere a Sana'a o a Venezia. Muri antichi corrosi dal monsone e ricoperti dalla nera patina di muffa umida. Cammini nelle piccole calli sotto il sole feroce e ad ogni angolo si apre una nuova prospettiva; il venditore di acqua con il suo carico sulle spalle, il friggitore di banane, il venditore di anacardi e dovunque profumo di spezia. Una antica casa di ingrasso degli schiavi, il caravanserraglio, oggi abitazione sovrappopolata di decine di famiglie, piccole madrasse, da cui fuoriescono frotte di ragazzi con le divise bianche e ragazzine già costrette nell'hijab di pizzo candido, anch'esso ormai divisa imposta, barriera culturale che però non riesce a frenare sguardi di fuoco lanciati tra le due schiere, pur mantenentesi a debita distanza. Vale davvero la pena non perdersi questa realtà così particolare, questa mistura incredibile di donne africane arabizzate, di gruppi di uomini in lunghe galabeje seduti a chiacchierare, di Masai in manto rosso che passeggiano in cerca di occasioni, di questo meraviglioso sentore di garofano e cannella che profuma l'aria ed il cuore. Guardi affascinato le famose porte di legno zanzibarine, uno dei vanti dell'isola, scolpite, decorate, ricche di borchie e punte di metallo all'indiana, splendore dell'arte decorativa, impedita a riprodurre la figura umana, ma impotente davanti al desiderio di bellezza che cerca espressione e sfogo comunque. Finalmente dopo l'ennesimo angolo cieco della medina, dopo l'ultimo vicolo stretto, ecco una piazzetta bianca, una facciata araba larga con alti gradini che fungono anche da panca per il passante, l'albergo Safari Lodge. Uno stanzone con qualche carta geografica appesa alle pareti, al bancone due inservienti da strappare al torpore meridiano, due poltrone sdrucite dalle pesanti volute barocche, un sofà sfondato dai duecento chili dell'enorme proprietario, barba lunga, cute sudaticcia, manone con salcicce grasse al posto delle dita strizzate da pesanti anelli d'oro, che sonnecchia davanti ad un piccolo schermo televisivo su cui scorrono i servizi di Al-Arabija. Basta un suo cenno però, per risvegliare i dormienti che ci assegnano la camera all'ultimo piano, dove dall'arredo e dalle forme indovini subito la mano cinese ristrutturatrice. La notte è buia e non avrai cuore a perderti nell'oscurità dopo il primo angolo per ricercare un ristoro presunto. Così basteranno i biscotti e i dolcetti del piccolo negozio di fronte che ormai sta chiudendo le pesanti porte di legno e un mango maturo, prima che la nuova alba sorga sulle terrazze della città.Se ti è piaciuto questo post, ti potrebbero anche interessare:
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