di Giovanni Agnoloni
Zena Roncada, Margini, ed. Pentàgora
Le terre lungo il Po sono una parentesi di mondo fatta di sole e verde, anse e polvere. Tutto questo, e molto altro, troviamo in Margini, raccolta di racconti di Zena Roncada a cura di Lucia Saetta.
Sono scritti ambientati in un tempo indeterminato, sicuramente appartenente al passato, ma, prima e più di tutto, andato. E così è anche lo stile di questa autrice originaria della provincia di Mantova, volutamente carico di inflessioni antiche, figlie di un’immagine del mondo – anche là dove dilaga la luce – “in seppia”, come la foto di un mobile di una volta in una stanza disadorna.
Tuttavia, non siamo assolutamente davanti a una narrativa anacronistica. È, semmai, un insieme di istantanee che ci trasportano fuori dalla nostra cornice storico-sociale, quasi realizzassero un’opera di sottrazione, dal mondo di oggi, di quello che c’è stato nel mezzo, per arrivare a quel tempo.
“Aveva un che d’insinuante ortica, il freddo.
Una frusta a zig zag, nella notte che diventa mattina.
Cieli cinesi e cavi: solo infilzato dalla galaverna. E dal silenzio dell’aria pulita.
Stelle vicine e lucidate.
Batteva ai vetri, il freddo.
Vi restava impresso con zampe di passero. A sperderlo non bastava il palmo della mano.
Poi, unghia su lavagna, una bicicletta schiacciava i cristalli sull’asfalto.
Uno sfrigolio croccante come, dopo una gelata, la voce di certi panni, scordati fuori ad asciugare.”
(da “Macallè”, pag. 62)
Il Po nei pressi di Mantova (da Wikipedia)
Neanche per un attimo sono stato tentato di pensare che si trattasse di una reviviscenza di neorealismo. No. È piuttosto una gemmazione di molteplici esistenze di provincia, che diventano un osservatorio privilegiato su ritmi umani, animali e paesaggistici eterni.
“Era un’ora da uscire a malincuore.
Con quel sole a ombra breve: esangue e senza piede. Un’ombra conficcata diritta nel terreno.
E le cicale.”
(da “Come fra muri”, pag. 28)
Queste dinamiche naturali, in cui, in fondo, l’uomo è solo co-protagonista, innescano un singolare “effetto haiku in prosa”. Essenzialità stilistica e di immagini, per scendere nell’anima di una terra appartata e quasi “residuale”.
Questo il segreto del fascino di questa lettura, che non ci vuole portare da qualche parte con una trama. Piuttosto, vuol radicarci in un qui che non è più qui, evocato e mediato dall’ombra di un tunnel spazio-temporale che è tutt’altro che fantascientifico, perché è la realtà della vita che passa, eppure, in qualche modo, resta.
L’allora può essere ancora vivo. Perché è giusto accanto a noi.
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