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Zena roncada, “margini”

Creato il 01 marzo 2014 da Postpopuli @PostPopuli

 

di Giovanni Agnoloni

Zena Roncada, Margini, ed. Pentàgora

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Le terre lungo il Po sono una parentesi di mondo fatta di sole e verde, anse e polvere. Tutto questo, e molto altro, troviamo in Margini, raccolta di racconti di Zena Roncada a cura di Lucia Saetta.

Sono scritti ambientati in un tempo indeterminato, sicuramente appartenente al passato, ma, prima e più di tutto, andato. E così è anche lo stile di questa autrice originaria della provincia di Mantova, volutamente carico di inflessioni antiche, figlie di un’immagine del mondo – anche là dove dilaga la luce – “in seppia”, come la foto di un mobile di una volta in una stanza disadorna.

Tuttavia, non siamo assolutamente davanti a una narrativa anacronistica. È, semmai, un insieme di istantanee che ci trasportano fuori dalla nostra cornice storico-sociale, quasi realizzassero un’opera di sottrazione, dal mondo di oggi, di quello che c’è stato nel mezzo, per arrivare a quel tempo.

“Aveva un che d’insinuante ortica, il freddo.
Una frusta a zig zag, nella notte che diventa mattina.
Cieli cinesi e cavi: solo infilzato dalla galaverna. E dal silenzio dell’aria pulita.
Stelle vicine e lucidate.
Batteva ai vetri, il freddo.
Vi restava impresso con zampe di passero. A sperderlo non bastava il palmo della mano.
Poi, unghia su lavagna, una bicicletta schiacciava i cristalli sull’asfalto.
Uno sfrigolio croccante come, dopo una gelata, la voce di certi panni, scordati fuori ad asciugare.”

(da “Macallè”, pag. 62)

 

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Il Po nei pressi di Mantova (da Wikipedia)

Neanche per un attimo sono stato tentato di pensare che si trattasse di una reviviscenza di neorealismo. No. È piuttosto una gemmazione di molteplici esistenze di provincia, che diventano un osservatorio privilegiato su ritmi umani, animali e paesaggistici eterni.

“Era un’ora da uscire a malincuore.
Con quel sole a ombra breve: esangue e senza piede. Un’ombra conficcata diritta nel terreno.
E le cicale.”

(da “Come fra muri”, pag. 28)

Queste dinamiche naturali, in cui, in fondo, l’uomo è solo co-protagonista, innescano un singolare “effetto haiku in prosa”. Essenzialità stilistica e di immagini, per scendere nell’anima di una terra appartata e quasi “residuale”.

Questo il segreto del fascino di questa lettura, che non ci vuole portare da qualche parte con una trama. Piuttosto, vuol radicarci in un qui che non è più qui, evocato e mediato dall’ombra di un tunnel spazio-temporale che è tutt’altro che fantascientifico, perché è la realtà della vita che passa, eppure, in qualche modo, resta.

L’allora può essere ancora vivo. Perché è giusto accanto a noi.

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