Leggere il Giornale e trovare qualcosa di vero non capita poi tanto spesso. E' un esercizio, una sfida se volete, in cui ciascuno si può cimentare ogni mattina, semplicemente recandosi in edicola. Un trafiletto, o due righe di sincerità buttate lì anche incidentalmente, potrebbe bastare. Invece niente: impegno, zelo e costanza servono a non dare sazio. Da Sallusti a Porro è un'autentica competizione. Come atleti olimpionici, gli eroi scattano lungo la pista del Transatlantico nel tentativo di collezionare il maggior numero di panzane possibili sin dallo sprint iniziale. Poi giù, in volata, come Mennea, ove la narrazione (parziale) degli eventi funge da apripista a speculazioni d'osteria, al cabaret surreale, alle velleità interpretative spesso basate su improvvisati giureconsulti che si rivelano intellettuali utili come un piumone nel deserto. Osservandoli da fuori, col debito distacco, si assiste ad un originale balletto d'ironia: grossolano indubbiamente, ma a tratti esilarante.Poi, purtroppo, capita di trovare un professionista che, suo malgrado, centri il punto in seguito ad una strana alchimia astrale. Se ne vergogna, intendiamoci: il malcapitato cerca di celare responsabilità, dissimula imbarazzo, chiede scusa per mondare le sue colpe. Ma il danno è fatto, il buon nome del calunniatore che dirige l'orchestra è compromesso, anche quando, come uno Scajola qualunque, il povero cristo in questione rivendica l'arbitrario diritto di dire cazzate a sua insaputa. E così Luigi Mascheroni se la prende con quei giornalisti ossessionati da Berlusconi, quasi fossero Zenigata in cerca di Lupin. Oh, lo scrive letteralmente. Bingo epocale. Perché mai paragone fu più sensato: in Italia esistono organi d'informazione, pochissimi in verità, che rispolverando il giornalismo d'inchiesta proprio non si rassegnano a consegnare il paese nelle mani di un evasore. Scrittori ed editorialisti che a diverso titolo credono nel valore della stampa libera ed invocano l’indipendenza contro gli abusi del Palazzo.E' una questione di scelte, per carità. Altri magari fanno il palo, alcuni tengono il sacco, certuni aspettano perfino i croccantini al banchetto della spartizione, ma una manciata di uomini seri esiste ancora. Tale sparuta pattuglia esercita il pensiero a dispetto di tutto, osa rifiutare etichette, non si colloca né a destra né a sinistra: sta semplicemente altrove, posta innanzi ad una classe dirigente insolente ed arraffona. D'altronde fin da bambini interpretavamo "guardia e ladri" secondo le naturali inclinazioni. Perché mai in redazione dovrebbe essere diverso?E in tema di vocazioni, proprio la naturale propensione a delinquere è stata certificata dalla Corte di Cassazione nei confronti dell'imputato Silvio Berlusconi, il quale - nelle vesti di Presidente del Consiglio - ha orchestrato e avallato nel tempo un sistema di frode fiscale basato sulla costituzione di sessantaquattro società offshore, affidandosi con Ghedini e Longo all'insana dizione di "elusione fiscale". Questo è l'unico fatto che conta in un paese incapace di fare i conti con il proprio presente, aggrappato alle vicissitudini penali di un sol uomo manco fosse il nuovo duce. Possiamo stracciarci le vesti e parlare vanamente di decadenza sino a mercoledì, ma la realtà permane immutabile. L’Esecutivo Letta, che pone la lotta all'evasione nel documento di programmazione economica e finanziaria come perno centrale dell’azione di governo, poggia le proprie fondamenta su un pregiudicato, un delinquente che incarna al meglio il peggio degli italiani. Si rassegnino i dobermann d'assalto ed i chiwawa da riporto. Non tutto in democrazia ha un prezzo.G.L.






