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Zero Dark Thirty: Bigelow e la caccia a Bin Laden

Creato il 07 febbraio 2013 da Pianosequenza

Zero Dark Thirty: Bigelow e la caccia a Bin Laden

Zero Dark Thirty
(Zero Dark Thirty)
Kathryn Bigelow, 2012 (USA), 157’
uscita italiana: 7 febbraio 2013
voto su C.C. Zero Dark Thirty: Bigelow e la caccia a Bin Laden L’undici settembre del 2001 il mondo cambia per sempre, per tutti. In particolare quei brutali attentati stravolgono la vita ed i piani di una giovane donna, Maya (Jessica Chastain), che appena uscita dal college è scelta per far parte della task force mediorientale targata CIA che ha l’incarico di rintracciare Bin Laden e i suoi più preziosi alleati. Dieci anni dopo, in un compound di Abbottabad, la loro missione verrà portata a termine. Kathryn Bigelow (The Hurt Locker) e lo sceneggiatore Mark Boal avevano iniziato a lavorare su un progetto cinematografico dedicato alla caccia a Bin Laden già prima che l’attualità prendesse il sopravvento sulla finzione. Pur non modificando le certezze degli autori, gli eventi del maggio 2011 hanno però contribuito a creare intorno a Zero Dark Thirty un significativo polverone di insinuazioni e polemiche. Quando si affrontano argomenti del genere, a maggior ragione se ancora così freschi nella memoria di tutti, è infatti facile dimenticare la ben demarcata linea che divide il documentario dalla finzione, il reale dal verosimile: così la Bigelow si è trovata coinvolta (anche a causa di dichiarazioni spesso discutibili e contraddittorie) in un contenzioso che spazia dal politico sino al sociale e all’etico, accusata di aver fornito una “apologia” della tortura o di aver persino violato il segreto di stato. Per quanto possano essere interessanti i dibattiti che il suo film ha suscitato (soprattutto in patria, per di più nelle vicinanze di una scadenza elettorale), non è questa la sede per esprimere giudizi o valutazioni a riguardo; piuttosto si tratta di prendere atto che, come ogni opera d’arte degna di questo nome, Zero Dark Thirty rappresenta almeno un motivo di discussione, un mezzo (potente) per portare in auge tematiche importanti e ormai dimenticate dall’opinione pubblica. Tutte queste polemiche, spesso oziose e strumentali, rischiano però di far perdere di vista un aspetto cruciale: quello di Kathryn Bigelow è un film eccellente, tra i migliori (se non il migliore) dell’intera annata cinematografica.
L’ architettura narrativa, probabilmente concepita prima che si avesse un chiaro “epilogo” per gli eventi descritti, verte tutta sul lavoro di intelligence “sotterraneo” necessario per scovare l’uomo più ricercato del mondo, ma nonostante questo si rivela caratterizzata da un ammirevole senso dello spettacolo, lasciando alla regista diverse occasioni per mettere in luce il suo talento – tra tutte è da segnalare la sequenza, che toglie il fiato, dell’attentato a Camp Chapman. La Bigelow fa ampio uso di una camera agile e mobile, in modo da entrare letteralmente nell’azione, rendendo lo spettatore parte integrante dello scenario mostrato. Il climax, raggiunto prevedibilmente durante i venti minuti del raid pakistano, è perfetto esempio di questo stile asciutto ed efficace (ma non per questo povero di idee) che può avvalersi di tutti i pregi in termini di resa e mobilità garantiti dalla tecnologia digitale. Sorprendentemente durante l’intera sequenza, fotografata per la maggior parte del tempo con una verdastra “visione notturna”, il palcoscenico viene concesso tutto alle coordinate gesta dei militari in azione, senza i prevedibili stacchi per catturare le emozioni di Maya (che sta seguendo l’operazione al sicuro della sua tenda), quasi a voler mantenere fino alla fine separati il lavoro “sul campo” e quello di spionaggio. Si tratta degli unici momenti nei quali Jessica Chastain non domina la scena. L’attrice americana fornisce infatti una interpretazione magistrale, grazie alla quale gli autori riescono a caratterizzare un personaggio complesso pur concedendo pochissimi momenti di introspezione: basta uno solo sguardo per raccontarne speranze, emozioni e paure. Maya è solo una delle tante donne che hanno un ruolo cruciale nell’individuazione di Bin Laden, e riesce a portare a termine l’obbiettivo grazie ad una ostinazione e ad una caparbietà che sembra mancare a molti dei virili personaggi che la circondano: questo è forse l’unico messaggio veramente politico che Kathryn Bigelow cerca di mandare con il suo ottimo film.

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