“ ‘’Stavolta ce la devi fare’’, mi ripetevo ogni volta… Invece niente. Me ne stavo là in silenzio, imbambolata, sguardo a terra, fuoco in viso. Nell’attesa lui serviva altri clienti e mi ignorava nel modo più assoluto, forse perché non ero per niente appariscente, forse per la mia timidezza, chissà… Fatto sta che Massimo non aveva la benché minima idea di quello che stessi passando io mentre lui girava i toast per cuocerli sul lato b…”
Ultima fatica letteraria di Fiorella Carcereri, “Zeroventicinque” (Aletti Editore, dicembre 2012) è una sostanziosa raccolta di racconti, quarantadue per l’esattezza, che celebra la vita e il passato con i loro pregi e difetti. Ogni racconto è congiunto a quello successivo, come una lunga catena che non può essere spezzata.
La vita della stessa Fiorella è il punto di congiunzione della narrazione, giacché si tratta in gran parte di fatti autobiografici. Ripercorriamo quindi con la scrittrice la sua infanzia, la sua adolescenza ed infine l’approdo all’età adulta. Tra ricordi più o meno felici non possiamo fare a meno di sorridere e commuoverci durante la lettura dei racconti.
Ognuno incorpora una sfumatura della vita della scrittrice, la quale, con uno stile asciutto e sobrio, riporta nelle parole le sue emozioni.
Riviviamo le prime esperienze, non sempre positive, scolastiche, l’affetto per i nonni, il legame con i genitori e con quel padre non abbastanza protagonista nella sua vita, i primi amori, la passione per il calcio, i primi viaggi all’estero e l’inserimento nel duro mondo del lavoro. Ed in tutto ciò non manca un velo di tristezza e malinconia per quelle vicissitudini che la protagonista dei racconti ha dovuto subire ed affrontare suo malgrado.
Una raccolta per chi ha voglia di fare un tuffo nel passato, per chi aspira ad una lettura piacevole e scorrevole. Impossibile non ritrovarsi in alcuni racconti e non rispecchiarsi in quella bambina, ormai cresciuta, coraggiosa e desiderosa di quelle gratificazioni e di quei momenti perduti che non ha potuto godersi quando era piccola. Un’infanzia spezzata da momenti scuri che hanno fatto sì che crescesse con maggiore forza e consapevolezza della vita che l’avrebbe attesa una volta adulta.
Infine, vanno citati i due racconti, quello iniziale, “Aleph”, e quello finale, “Quando la bambina era bambina”, i quali, come una sorta di preludio ed epilogo, contribuiscono a dare maggior prestigio ed originalità alla raccolta.
“Luoghi e persone che, invece, sono entrati inspiegabilmente a far parte di quel bagaglio di ricordi indelebili che si sono impressi come un marchio a fuoco nella mia mente, che fanno parte integrante di me e che hanno dato, a loro modo, un senso a tutto ciò che è venuto dopo.”
Written by Rebecca Mais
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