Zio Vanja è il capolavoro di Anton Cechov, proposto in questa stagione teatrale dal Teatro Duse di Bologna nella versione firmata da Marco Bellocchio, uno tra i registi più anticonformisti della storia del cinema italiano. Lo spettacolo sarà in scena dall’8 al 10 novembre (ore 21.00, venerdì e sabato, ore 16.00 la domenica).
A una settimana dal debutto nazionale, Zio Vanja è uno degli spettacoli più attesi: Sergio Rubini vestirà i panni di Vanja, generoso gestore di una tenuta in campagna, Michele Placido sarà il professore Serebjakov, docente in pensione proprietario della tenuta. Con loro Pier Giorgio Bellocchio, Anna Della Rosa, Lidiya Liberman, Bruno Cariello, Maria Lovetti. Prevista la partecipazione straordinaria di Lucia Ragni. Le scene sono di Giovanni Carluccio, le musiche originali di Carlo Crivelli, l’adattamento e la regia di Marco Bellocchio.
Zio Vanja è considerato uno dei capolavori del teatro cechoviano, in cui si intrecciano le monotone conversazioni e le banalissime vicende di un gruppetto di personaggi. La ricostruzione minuziosa di atmosfere sospese e vagamente inquietanti, l’indifferenza abulica dei personaggi intorno agli eventi, l’indefinito senso di attesa di una catastrofe incombente rendono questo testo una geniale anticipazione della drammaturgia novecentesca.
La trama ha il suo inizio nella casa di campagna ereditata dal professor Serebrjakov (Michele Placido), cognato di zio Vanja (Sergio Rubini) e padre di Sonia (Anna Della Rosa). La prima moglie, sorella di Vanja, è deceduta e il professore si è risposato con Helena (Lidiya Liberman), con la quale torna in campagna dalla città in cui vive. Tra amori e vicissitudini di vario genere, Serebrjakov comunica a Vanja che è intenzionato a vendere il podere e questo fa uscire fuori tutto il temperamento del povero zio, che tenta di uccidere il professore con dei colpi di pistola, che miseramente non andranno a segno. Alla fine l’agiato ereditiere e Helena torneranno in città, lasciando a Vanja la possibilità di continuare ad amministrare la tenuta.
La versione proposta da Marco Bellocchio è una novità assoluta: in oltre 40 anni di carriera e di regie cinematografiche è la sua terza regia teatrale (dopo “Timone d’Atene” di Shakespeare al Piccolo di Milano con Salvo Randone e Franco Parenti nel 1970 e “Macbeth” al Teatro di Roma nel 2000 ancora con Michele Placido), ma nel suo cinema imponente è la presenza del teatro, da “Enrico IV” di Pirandello con Mastroianni a “Il principe di Homburg” di Kleist fino al film per la tv da “Il gabbiano” di Cechov con protagonisti Laura Betti, Remo Girone, Pamela Villoresi e Giulio Brogi. Come ha detto Placido “il cinema di Bellocchio è teatrale”. Coraggioso, puntuale, deciso, ha saputo portare avanti le sue idee laiche, difendendole con la forza espressiva dell’arte, entrando nella complessità degli argomenti, dalla politica sessantottina alle conseguenze drammatiche degli anni di piombo, dalla follia dei manicomi all’incapacità di amare delle persone comuni.
Sabato 9 novembre alle ore 19 Sergio Rubini, Michele Placido e la compagnia incontreranno il pubblico nel bar del Teatro: l’incontro sarà moderato da Massimo Sceusa, insegnante della Scuola di Teatro Galante Garrone. Ingresso Libero
Prevendite presso la biglietteria del Teatro Duse (dal martedì al sabato dalle 15 alle 19) e nei punti prevendita Vivaticket.
Le dichiarazioni dei protagonisti
Marco Bellocchio
«La vicenda è ambientata nella campagna russa. Immaginando un film, vorrei portarla tra le masserie e gli ulivi della provincia pugliese».
«Subisco il fascino del teatro. Rare le regie che ho firmato, ma ritrovo sempre il piacere del contatto con gli attori, che nel cinema è frammentario. Mentre con la cinepresa mi barrico nella mia esperienza, qui vado senza rete»
Michele Placido
«Questo non sarà un semplice lavoro teatrale perché andremo al di là del testo e nell’estate del 2014 ci sarà una trasposizione cinematografica di Bellocchio stesso, che ci ha chiesto di identificare una masseria pugliese per ambientare il film, e piantarlo nella terra, in una cultura che non c’è più»
«Marco ama discutere, non arriva mai con idee solo a tavolino. Avremo 50 giorni di prove. In Cechov gli scontri tra gli esseri umani ci sono tutti, in profondità. E forse possiamo intravedere anche una metafora politica. Ma questo spetta alla visione di Bellocchio»
«Ho fatto vari stage su Cechov e mi voleva De Lullo per una sua edizione delle “Tre Sorelle”, e poi Patroni Griffi pensò a me per uno Zio Vanja»
Sergio Rubini
«Io per il film “La terra” sono partito dai Fratelli Karamazov di Dostoevskij, dalla Russia rurale, dalla proprietà, dalla roba. Nell’adolescenza presi parte a uno Zio Vanja della compagnia amatoriale di mio padre e in Accademia recitai “Il tabacco fa male” di Cechov. Con l’età che ho adesso, 53 anni, le mezze misure cechoviane mi affascinano»
«Zio Vanja è irreggimentato nella famiglia, s’è lasciato passare a grani la vita. Io per mia natura sono sempre stato uno che scappa, e Vanja non scappa. Allora la sfida si fa affascinante. Per quel tanto di grottesco che c’è in lui, che a un certo punto agita la pistola contro Serebrjakov.
Mi interessa l’oblomovismo di Vanja. E alla luce della mia maturità, m’accorgo che adesso non fuggirei, che guarderei con un sorriso il me di una volta, e vedrò più frontalmente, più intimamente questo essere perdente… »
Contatti
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