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Zitella goes to New York: Part #3

Creato il 14 giugno 2012 da Lazitellaacida
_DAY 4 Al quarto giorno a New York ho la città in PUGNO! Bhè certo, capire ancora dove sta l'est e l'ovest rispetto a dove devo andare io è ancora una missione piuttosto difficile però procedendo per tentativi arrivo più o meno dappertutto. In nome degli anni passati a sfogliare riviste di moda decidiamo, io e Amica Giada, di andare insieme alla mostra su Prada al Metropolitan Museum. Lei, fiduciosa, mi dice “ci vediamo davanti al Met” come se tutto questo fosse normale, come se sentirsi Blair e Serena (BOOOOOH, ALLUCINAZIONE IMMENSA: BLAIR E SERENA SIAMO NOI, GIADA!) sia perfettamente normale. Come il giorno prima Barbara si fa il segno della croce prima di andare a lavorare, perfettamente cosciente di non poter fare nulla sul mio mancato senso dell'orientamento nella città più facile del mondo. Poco male, armata di foglio e penna (perché, ahem, non sapevo far funzionare la stampante) mi copio paro paro il percorso da dove stavo fino al civico 1000 sulla 5th Avenue, grazie a quel provvidenziale sito a prova di deficiente che è hopstop.com Devo avere uno sguardo davvero molto sicuro di me quando cammino perché addirittura in due mi chiedono indicazioni, di cui un povero modello che avrei voluto prendere e coccolare per tutta la giornata visto che pareva più spaesato di me. Forse però gli sono sembrata deficiente quando mi ha chiesto se il treno che stavo per prendere era Express e io ho bofonchiato qualcosa come “Io? Express? Cosa? No! Foglio! Hopstop.com! Met! Don't know!”.
La mostra, come anticipato, è stata bella ma non quanto mi aspettavo.
Zitella goes to New York: Part #3
I temi affrontati non sono stati molti, tra cui il confronto waist up/waist down (gli elaboratissimi capispalla e i bizzarri copricapi Schiaparelli contro le celebri gonne e le favolose calzature Prada), le collaborazioni con gli artisti (Dalì per la Schiaparelli e le poche e rare collaborazioni esterne per Prada, come quella con James Jean), il rapporto con il “brutto” inteso come ugly chic... La mostra nasce per evidenziare i moltissimi parallelismi tra le due donne (l'uso di determinati materiali alieni alle passerelle come il pvc) che parlano tra di loro in una serie di conversazioni impossibili. Come ad ogni intervista, si rimane incantati ad ascoltare la signora Prada, donna di infinita cultura e intelligenza. Tuttavia, pare quasi che l'intera mostra voglia portare il visitatore a pensare che, dopotutto, anche un genio come Prada da qualche parte pare che abbia tratto ispirazione
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Già che c'eravamo, sulla 5th Avenue, decidiamo quindi di farci un giro a Central Park. Si fa fatica a definirlo parco. Direi che è più una distesa infinita di verde, di laghetti, di ponticelli, di percorsi per runners.


Zitella goes to New York: Part #3
Ci sono decine di barchette da noleggiare sulle quali chissà in quanti, tra una remata e l'altra avranno fatto la Proposal. C'è il ponticello sul quale si sono girate decine e decine di scene culto e ci sono i grattacieli che si affacciano da qualsiasi punto, in lontananza. Sei in città ma ti senti lontana dalla città. Tutti corrono, tutti si muovono, tutti fanno sport. E tu, che stai solo camminando, ti senti in colpa.
A Central Park ti capita di poter vedere di tutto, dalla tipa che improvvisa uno shooting sdraiata su una roccia, alla coppia di cinesi in abito nuziale fino al lancio di bouquet di una coppia gay appena sposata. E quando te ne meravigli pensi, ma perché dovrebbe essere strano?

Zitella goes to New York: Part #3
A New York non è dato fermarsi mai quindi nemmeno il tempo di sdraiarsi sull'erba al parco che subito di corsa devo tornare a casa per un aperitivo tra amiche e sale il terrore ODDIO DOVRO' PARLARE INGLESE? Incredibilmente torno a casa da sola, senza l'aiuto di nessun sito, con il solo potere della mappa, sono figa, io cammino sicura sulle strade di New York! Io mi oriento! Io guardo annoiata la lista delle fermate della metro! Io, quando cammino, HO LE MANI IN TASCA! Perché io sono figa! Io non sono una turista! Addirittura arrivo a casa e RIESCO AD APRIRE LA PORTA. Ciao New York, non hai più segreti proprio!

Che si fa per l'ape? Nulla di particolare, facciamo un saltino di nuovo a Williamsburg, perché stanno inaugurando un hotel. Pare essere il primo hotel di Williamsburg, non so se sia vero ma io ci credo. E' figo. E toh, è fatto di mattoni.

Ma stavolta è una cosa vecchia-vera, non una cosa vecchia-finta. C'è odore di nuovo e di vernice. Le amiche di Barbara sono tutte fighe e simpatiche, sono fighe come sanno essere fighe le americane. Quel figo un po' rock, un po' urban chic, che si mettono un gilet di jeans e sono trendy quando invece se me lo metto io sembro la ragazzina scampata dalla Casa nella Prateria. Loro parlano, ahahahah che ridere!, parlano veloci come le amiche sanno parlare. Mica si parla lentamente tra amiche, no? Con le mie, per esempio, parliamo sempre una sopra l'altra ad un tono di voce che sembriamo un branco di galline. Facciamo fatica a capirci tra di noi, figurarsi se ci fosse un esterno.
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Invece siamo tutte subito un gruppone: ma tu che lavoro fai? Non dirmi, anche io! E dove? Da MAC! Madddai! Ho comprato il gel per le sopracciglia io da mac! Sì ce l'ho il ragazzo, è una cosa fresca fresca, guarda che carini... Sì lui si fa le foto...E' che lui è un hipster – RIDONO - ayeah, we do have hipsters in Italy! Anche tu hai il fidanzato? Massì che si stava meglio da single! Insomma, qualche chiacchiera più tardi i kilometri fatti a Central Park cominciano a farsi sentire e io crollo miseramente sui divanetti. Per stasera, New York Pizza, e HOME DELIVERY, le prime due paroline che Amica Barbara mi ha fatto imparare su suolo americano.
Metropolitan Museum of Art - 1000 5th Avenue

Central Park
Wythe Hotel - 80 Wythe Ave. at N. 11th Williamsburg, Brooklyn.
_DAY 5 E' venerdì, è la fine di una settimana lavorativa che io ho passato interamente a New York. Infatti, come prova, passo tutto il giorno da sola. Contrariamente ad ogni misera aspettativa sul mio scarso senso dell'orientamento, metto a piano per la giornata non uno ma ben TRE musei: Guggenheim, Frick Collection e MoMA. Di buona lena e con il mio solito foglietto copiato a manella, parto da casa direzione Museum Mile, sempre sulla 5th Avenue. Ovviamente sbaglio strada nonostante ci sia passata di fianco il giorno prima ma quando la guida ti dice “all'uscita della metro procedi a sud per due strade”, che ne sai la guida a quale uscita della metro si riferisce? E cosa ti dice che io sappia dove sia il sud? Insomma un po' per culo un po' per ragione finisco esattamente nella strada del Guggenheim e... OOOOOOOOH CHE BELLO
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E' inutile, va così ogni volta che mi ritrovo davanti ad un museo di arte contemporanea. E' andata così al Tate, al Pompidou e adesso a Guggenheim. Non è il solito palazzone storico riveduto e corretto per metterci dentro i voli pindarici di un Cattelan qualunque, è una fottuta struttura costruita apposta per contenere i voli pindarici di Duchamp, di Warhol e di tutti gli altri. Insomma, grandi aspettative da un museo come quello, con un contenitore così che meraviglia sarà il contenuto?

Una merda. Una bella merda. Diciotto dollari buttati nel cesso. In quel periodo c'era la mostra di un certo Chamberlain le cui opere di poco si discostavano dal deposito demolizione della carrozzeria di mio padre. Poi una pallosissima mostra dal nome Plural – Singular che ancora non ho capito, le foto da emo di una suicida ventenne e infine, quando credevo di aver trovato dove sguazzare (l'arte moderna, i Picasso, i Van Gogh queste cose qua) trovo che hanno temporaneamente sostituito la mostra su Kandinsky per esporre i disegni di una manciata di.... BAMBINI. E io pago 20 verdoni per vedere dei disegni che bastava commissionarli al mio cuginetto di 6 anni? E VOI, mi mettete Kandisnky, quel grandissimo rotto in culo di Kandisky in magazzino per degli scarabocchi? AL GUGGENHEIM? Soldi sprecati, ve lo dico io. Il Guggenheim basta guardarlo da fuori, risparmiate i soldi per un giro di shopping. Approfitto della zona per procedere con la seconda tappa, la tanto celebre Frick Collection. Tutti mi dicono che una meraviglia, tutti mi dicono è un gioiellino da vedere. E' la villa di un miliardario dell'acciaio dei primi del '900. Stop.


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Le opere sono state disposte secondo il volere del magnate, ma sono tutte opere di arte antica (Piero della Francesca, Bernini, Cimabue...) e a me non fanno impazzire. La vera cosa interessante è la casa stessa, una casa da Fifth Avenue, a pochi metri da Central Park, con le scale in marmo, i saloni, i caminetti e come se ne vedono solo nei film (o nel reparto arredo casa di Ralph Lauren).
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Quando esco dal museo ormai sento di avere la città in pugno, mi faccio un giretto su Madison Avenue, butto gli occhi un po' qua un po' là: madison avenue, mad men! Ma non ci sono agenzie pubblicitarie, non vedo Don Draper in giro, ci sono solo boutique e bancarelle di pretzeln. Mi bullo ormai del mio senso dell'orientamento e faccio su e giù tra la Quinta, la Madison e Park in pieno Upper East Side. Ogni cosa mi sembra strana, nuova e già vista. Mioddio, Park Avenue! Quante volte l'ho sentito nei film! Mi chiedo cosa abbia di speciale questa zona: saranno forse gli inservienti con i guanti bianchi che lucidano gli attacchi degli idranti? Saranno forse quelli che si ostinano a trapiantare tulipani nelle aiuole dove cani benestanti ogni giorno vanno a fare i loro bisogni? Saranno infine quelle madri vestite di tinte pastello che passeggiano con le bambine con cerchietto e boccoli biondi e un pargolo nel passeggino in direzione Central Park? ESISTONO DAVVERO? Ovunque mi volto penso di entrare nel set di Gossip Girl e per un attimo l'ho pure pensato sul serio, incrociando una troupe davanti all'ingresso di un palazzo, di quelli con il portiere con l'uniforme e la tenda sul marciapiede. Sì, è figo l'Upper East Side ma cosa vi devo dire, continuo a preferire Williamsburg. Sempre più convinta del mio senso dell'orientamento ormai invincibile, raggiungo Amica Barbara per pranzo al suo ufficio. Eh, sarà brutto il suo ufficio no? Che brutte saranno le zone degli uffici di New York? Saranno brutte la metà di quelle di Milano? Questa è la vista dal suo ufficio.


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Sì, lei lavora in quartiere POCO POCO di moda ora, si chiama Meatpacking District, cioè il distretto delle macellerie. Fino a qualche anno fa era un quartiere di criminali, prostitute e trans (ne sa qualcosa Samantha), oggi è un quartiere completamente riqualificato sede di gallerie, showroom e uffici. Nel meatpacking si va a vedere per forza due cose: il Chelsea Market e la High Line. Il Chelsea Market è un palazzone di mattoni dove al piano terra ci sono decine e decine di negozietti alimentari: cupcake cupcake e cupcake, pizza, panini, insalate, sushi, italiano, qualsiasi cibo del mondo lì c'era. Mi ha ricordato per un attimo il Camden Market di Londra quanto a melting pot di culture e alimenti.
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Poi, la celebre High Line: un binario sopraelevato che è stato riadattato in un parco. Detta così sembra semplice, ma in realtà è uno dei punti più belli di New York e una delle idee più geniali dal punto di vista urbanistico mai viste in una grande metropoli.


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Quello che manca, nelle grandi città sono sempre gli spazi verdi. Non è certo il caso di New York che in quanto a verde potrebbe far impallidire Londra, eppure quest'idea della High Line è così bella che ha fatto il giro del mondo e per quanto Barbara mi avesse descritto il quartiere nel quale lavora, non mi aspettavo una cosa del genere. Insomma Milano è una città dove tutto sembra difficile, dove i parchi sono inculatissimi, sono fuori dal centro, sono poco sicuri, sono tenuti male e sono sporchi. A Manhattan invece sembra tutto semplice: c'è un binario abbandonato? Perché farlo diventare punto d'incontro di spacciatori? Facciamolo diventare un parco cittadino sopraelevato: da una parte la città dall'altra il fiume.

Vedi? Geniale.


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Io sono più o meno esterrefatta da tutto, da questo camminare sul parquet all'aperto, dal panorama, dal fiume, dall'aria che si respira, dalle piante (le piante! I fiori! LE FARFALLE, quelle VERE!), dal silenzio. Sì, a New York c'è il silenzio.

Non c'è una sirena che passa ogni due minuti, non si sentono clacson, non c'è gente che urla (bhè, dipende). Lì, a metà del mio quinto giorno in the city mi sono resa conto che New York non è una città come io concepivo le città. Non c'è quel grigiore, quella nebbia che si vede a Londra e a Milano. Non c'è la zavorra della storia si trascina dietro Parigi. Non è bizzarra e assordante come Barcellona. Non è piccola e provinciale come Valencia. New York è una città che si mette in scena ogni volta che risali dalla metro, ogni volta che cambi quartiere, volti un angolo, attraversi una strada. New York più che una città mi è sembrata un teatro, dove tutti possono essere quello che vogliono. E' questa sensazione di onnipotenza che fa venire voglia alla gente di provare a rimanere, di tentare di farcela a New York. Perché è la città stessa che ti da la forza di farlo, di provarci. Dopo l'ennesima cupcake sui gradini della High Line, saluto Amica Barbara che torna in ufficio mentre mi dirigo verso l'ultimo museo della giornata, il MoMA. Fiera e tronfia del mio senso dell'orientamento e della mia andatura sicura, scendo nella metro consapevole di aver capito FINALMENTE questo binomio della città che è DOWNTOWN/UPTOWN. Nella mia mente sono certa di quello che devo fare, devo prendere la metro. Uptown. Uptown. Uptown. Eh sì, io sono in basso e devo andare in su. Uptownn. Uptown. Uptown. Uptown. Uptown. Uptown. Uptown. Uptown. Uptown. Uptown. Uptown. Toh, arriva il treno. Direzione? Downtown. Ah certo, DOWNTOWN, giusto. Niente, come al solito mi ritrovo a scendere alla fermata successiva per tornare indietro. Ma vabbhè, l'importante è averlo capito. Arrivo al MoMA senza nemmeno troppi giri dell'isolato e quando sto per entrare (erano le 18.00) vedo che alla cassa nessuno paga ma è solo un continuo distribuirsi di biglietti: tu guarda il culo, sono arrivata nell'unico giorno della settimana (il venerdì) in cui si entra gratis (dalle 18.00 alle 20.00). Bene, guida nelle orecchie, mappa in mano e gambe in spalle: ho solo CINQUE PIANI di opere da godermi. E niente, mi rendo conto già nei primi dieci minuti che tutto il tempo sprecato al Guggenheim lo potevo impiegare godendomi più lentamente il MoMA perché io vado completamente in fibrillazione per la quantità di meraviglie che ci sono lì dentro. 


Zitella goes to New York: Part #3
Ci sono TUTTI i più importanti artisti del '900 e ve lo dice una che ha studiato ragioneria e si è laureata in relazioni pubbliche, quindi con la storia dell'arte c'ho avuto poco e niente a che fare. Eppure c'è stato quell'esame in storia dell'arte contemporanea nel 2004, sarà che il professore è stato molto bravo a spiegare, sarà che la mia coinquilina (la già citata Amica Giada di cui sopra) si è diplomata all'Istituto d'Arte, sarà che nonostante tutto il mio impegno quello in storia dell'arte contemporanea è stato l'unico esame nel quale sono stata bocciata in vita mia, sarà che quando poi mi sono ripresentata con una preparazione direttamente proporzionale alla mia incazzatura ho preso 30 con gli interessi per la figura di merda, insomma io la storia dell'arte del '900 ce l'ho un po' qua. Un po' qua, tra lo sterno e lo stomaco, dove ti stanno le cose che ti stanno un po' sul culo ma anche no. Quelle cose che hanno rappresentato una sfida, poi vinta. Ero arrivata a New York con una missione: trovare QUEL minchia di dipinto di Picasso. Non uno a caso di Picasso, tutti hanno un Picasso in casa ormai. No, io volevo vedere QUEL dipinto di Picasso. Quello del 1907, quello che ha iniziato il Cubismo.

Questo.

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Les demoiselles d'Avignon - 1907 - P. Picasso

E sapeste quante foto gli ho fatto! Da tutti i punti di vista, da tutte le angolazioni, quando me lo sono ritrovata davanti avevo quasi il fiatone! E poi Haring, Warhol, Duchamp, Modigliani, Rothko, Van Gogh, Klimt, Kandiski, Matisse, Mirò, Dalì, Boccioni, Mondrian, Monet. Quando la Security ha cominciato a dire che era ora di andarsene ero nella stanza dei Monet. Nella stanza dei Monet non potete dirmi di andarmene. Non esiste. No.

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Quando esco dal MoMA sono in piena sindrome di Stendhal, completamente fatta di arte, rimbambita come si può essere solo dopo aver visto nella realtà quello che per anni è stato solo nei libri di Artistica. Me ne torno a casa da sola, senza sbagliare treno, né direzione, né fermata. Ormai, chi m'ammazza a mè.


Guggenheim - 1071 5th Avenue
Frick Collection - 1 East 70th Street
Chelsea Market - 75 9th Avenue
High Line - Gansevoort Street
MoMA -  11 West 53 Street.

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