DIN DIN DIN JACKPOT! Praticamente TUTTO. Tutto quello che mi mancava ancora da vedere. Messa giù così mi è sembrata un'impresa titanica al pari di una maratona, ma non è stata inaffrontabile come impresa, sono circa 10 km. Affrontabilissimi, con un paio di calzature comode e un clima accettabile. Siamo partite verso l'ora del brunch, saranno state le 11 dopo un ricco pasto da Schiller's (sempre gli stessi di Balthazar) a base di pancakes (terzo elemento alla base della cucina americana dopo BURGER e CUPCAKES) e french toast, ci siamo incamminate per le vie del Lower East Side. Di China Town mi avevano detto una cosa per riassumerla: PUZZA.
Avevano
ragione.
Puzza
di pesce, di marcio, pesce marcio.
Ci
sono ortaggi, spezie, oggetti e PUZZE che non avevo mai sentito in
vita mia.
Ed
è affollatissima.
C
'è da dire che era pure sabato mattina e a quell'ora anche il
mercato di Via Benedetto Marcello è affollato.
Ma
i cinesi, nella loro operosità e nel loro muoversi in circolo come
formichine, fanno sembrare ogni piccolo spazio sovraffollato.
Dopo qualche passo entriamo nell'ormai sempre più piccola Little Italy, quello che dovrebbe essere il quartiere più italiano e invece si rivela un ammasso di stereotipi del Bel Paese fatto di festoni colorati tra un palazzo e l'altro, pasta con le polpette di carne “just like grandma” (MA QUALE NONNA? MA LA TUA FORSE) e SALICCE CON PEPPERONI (tipico piatto italiano, eh).
Schiviamo una manifestazione di protesta per qualcosa di cinese e dopo aver attraversato una strada siamo già nel Financial District. Ma come è possibile che poco più in qua ci si trovi in mezzo alle botteghe puzzolenti di pesce e poco più in là in mezzo ai tribunali, alle camere di commercio e ai palazzoni? Niente, è così, basta una strada a due corsie per cambiare completamente scenario. Come si arriva nel quartiere finanziario non si può fare a meno di portare gli occhi al cielo, vista l'altezza dei palazzi. I grattacieli sono tutti qua. Compresi quelli che non ci sono più, ma che si sentono benissimo. La Freedom Tower è ancora in costruzione ed è impossibile non fermarsi ad osservare questo monumento a quella capacità tutta americana di rialzarsi e di arrivare più in alto di prima.
Pochi cazzi, gli americani non li tiri giù, nemmeno con una strage come quella del 11 settembre. Senza nessun parere sulla loro discesa in campo bellica della quale non ho un opinione così documentata da poterne parlare qua, quello che ho visto al World Trade Center è la loro resilienza. Si tirano su le maniche, fissano una bandiera e ricominciano. Il loro essere teatrali, il loro (ri)mettersi in scena ha quest'immenso lato positivo: dare un messaggio di forza. Non necessariamente di forza fisica ma di forza interiore, contrariamente alle nostre città che vengono giù con ogni terremoto e lì rimangono inermi, in attesa che lo Stato aumenti le accise sulla benzina per pagare una ricostruzione che non avverrà mai, mentre i civili continuano a vivere nei container. E se adesso le aziende, le corporation e i businessman fanno a gara per prenotarsi un ufficio su quella torre della libertà che è costata loro tre mila morti, noi rimaniamo a guardare, stupefatti, la loro grandezza, la loro forza, il loro patriottismo. La visita al 9/11 Memorial è gratuita ma va prenotata, quindi armatevi di cellulare connesso ad internet quando siete sul posto E prenotate anche con qualche ora di anticipo da un internet point altrimenti andate lì a vuoto.
Ci
sono queste due fontane quadrate che contengono altrettanti quadrati
concentrici di cui è impossibile scorgere il fondo, nella stessa
posizione e dello stesso perimetro della Torre Nord e della Torre
Sud.
Il
rumore dell'acqua è assordante e rende questo piccolo parco quasi un
oasi nel centro della città, anche se mi è sembrato un luogo sacro
quanto un cimitero.
E
poi ci sono gli oltre 2.900 nomi: quelli del volo in Pennsylvania,
quelli del Pentagono, quelli che stavano lavorando in ufficio e tutti
i pompieri che si sono sacrificati prima di capire che stava
crollando tutto.
Come
dicono gli americani, “overwhelming”.
E
la pace, in quel parchetto con centinaia di alberi tutti uguali, non
si può descrivere a parole.
Procediamo
sempre a piedi verso l'imbocco del ponte di Brooklyn e noto che
davvero SOLO QUALCHE ALTRO CENTINAIO DI AMERICANI ha avuto oggi la
nostra stessa idea.
Sfatiamo
subito questo mito, attraversare il ponte non è poi chissà quale
fatica, non sono nemmeno due km e sono fattibilissimi (fate
attenzione ai ciclisti, ho osato camminare lievemente più a sinistra
del serpentone umano che mi precedeva e stavo quasi per essere
ASFALTATA da un pazzo ciclista alle mie spalle che mi ha urlato
NEVER DO IT AGAIN, ma che minchia vuoi amico QUESTO E' UN PAESE
LIBERO E IO CAMMINO DOVE CAZZO MI PARE).
Povera
Amica Barbara mi perdeva come un qualsiasi bimbo tedesco sulle
spiagge di Lignano, facevo foto ogni decina di metri, osservando
dettagli del ponte che, in effetti, è difficile da confondere con
quello di Willamsburg (uno è in ferro, l'altro sembra avere i
mattoni), guarda di qua guarda di là ho abbassato lo sguardo sui
miei piedi e ho notato che sotto di me, tra una trave di legno e
l'atra c'era SBAM.. il fiume.
Ah!
Ahahahah!
Ah.
No.
Tipo
i brividi lungo la schiena. Eccerto. Sto camminando sospesa sull'East
River. E' un ponte. E' a questo che servono i ponti, no?
Certo.
Ma vederti l'acqua a qualche decina di metri di altezza sotto di te
fa TUTTO UN ALTRO EFFETTO.
Allegra,
pimpante e schivando i venditori di mango arriviamo dall'altra parte,
ci catapultiamo nel parchetto di DUMBO.
No,
non Dumbo quello della Disney, gli americano amano gli acronimi
quindi sta per Down Under the Manhattan Bridge Overpass.
DUMBO è un altro quartiere rispetto a Williamsburg ma l'aria che si respira è più o meno la stessa: moltissimi giovani, tutti rilassati e nessuno di molesto. Bhè certo, a parte lui, che è una vera istituzione del quartiere.
Ci sdraiamo come balene spiaggiate sul prato, mangio un insalata sui tavolini vista PONTE DI BROOKLYN--STATUA DELLA LIBERTA'--GRATTIACIELI DEL FINANCIAL DISTRICT e mi rendo conto che in effetti questa città sa come convincerti per rimanere. Complice sicuramente la splendida giornata di sole, pare tutto a misura di uomo, anche una cosa così strana come “attraversare il ponte di Brooklyn” finora visto solo sulle cartine del chewing-gum, manco fosse uno stargate spazio-temporale.
Schiller's
– 131 Rivington Street
China Town
9/11Memorial – Albany Street
Brooklyn Bridge
DUMBO Brooklyn
_DAY 7 Nel giorno in cui il Signore riposò io non ho fatto altrettanto essendo il mio ultimo giorno prima della partenza. E quante cose mancavano ancora alla lista delle COSE AMERICANE DA FARE! Amica Barbara pur essendo una mezzosangue newyorchese molte cose turistiche non le ha fatte, un po' come me che vivo a Milano da sei anni ma guai ad andare una volta in cima al duomo a vedere le guglie o alla Scala a vedere un balletto (vero amore?), è così TURISTICO, quindi ha approfittato della mia presenza per fare quelle cose che se hai qualcuno che ti ci trascina ok, altrimenti non è che ci vai. E dov'è che non ci andresti mai se non avessi qualcuno che ti trascina? Ma certo, ad HARLEM. Domenica mattina, esterno giorno. E' la festa della mamma e come ogni festa per gli americani è occasione ghiotta per venderti qualcosa. Qualsiasi cosa. Fiori rossi, fiori rosa, torte, tortine, dolcetti, cioccolatini, cuori, mamme, cuori a forme di mamme, fiori a forme di mamme. Cammina cammina, con il vestito della festa, arriviamo nel luogo di tutte le domeniche delle Brave Ragazze: a messa. Ma non una messa normale, UNA MESSA GOSPEL.
Già
a partire dalle sembianze dell'edificio pare evidente che molto
diverso da una chiesa cattolica, ma poco male, sembra più una scuola
e fuori in cortile ci sono decine di persone “della comunità”
che ci accolgono festosi, ci chiedono se veniamo per la prima volta o
se invece siamo del giro ma no, basta guardarci, siamo un
filo pallide per essere parte di questa comunità senza che nessuno
se ne sia accorto.
Entriamo
e noto subito che ci sono moltissime signore appena fuori
all'ingresso, con i loro migliori vestiti della festa, piene di
pizzi, cappellini, giacchine e borsette pacchiane. Sono anziane donne
del quartiere, sono le mamme del quartiere scoprirò più tardi.
Pur
essendo arrivate prima delle 11, ora presunta di inizio della
celebrazione, quando entriamo stanno già ballando, cantando e
battendo le mani. Siamo entrate e mi sono sentita nel mezzo di uno
show, come se entrassi negli studi di un programma televisivo.
E' emozionante, loro sanno benissimo che siamo turiste, che loro sono la nostra attrazione, sono il nostro Trump Tower, non siamo lì per pregare. Eppure ci accolgono festosi e festanti, come se non avessero aspettato altri che noi fino a quel momento. Come se fossimo in un cinema d'altri tempi, c'è addirittura una persona che ci indica dove sederci e ci accompagna. Siamo le poche bianche in sala, ma gli altri presenti sono certamente italiani. Non si può fare a meno di sorridere lì dentro, non si riesce a smettere di battere le mani e tenere il tempo. E' impossibile, sono contagiosi, sono gioiosi. Loro cantano, loro che sono in otto sul palco e sembrano avere voce per ottanta. L'officiante è donna. DONNA capite? Capite cosa può voler dire ascoltare un'omelia (direi uno speech) da parte di una donna? E' stata fantastica, è stata spiritosa e ha usato una miriade di casi, di esempi di vita comune nei quali pure io, di un'altra etnia, di un'altra lingua, di un altro continente mi sono ritrovata. Essendo festa della mamma, le mamme sono state argomento centrale della mattinata e protagoniste assolute dopo la loro entrata, una alla volta, in mezzo ai cori di quelle che sembravano mille voci, tutte vestite di bianco (quelle che erano all'ingresso poco prima), tutte entrate ballando, ridendo e cantando. Ero emozionata, fortemente emozionata, mentre vedevo questa comunità esprimere affetto a quelle mamme, perché pensavo alla mia di mamma dall'altra parte dell'oceano e perché pensavo che da noi una cosa del genere sembrerebbe subito una pagliacciata e non la meravigliosa esperienza emozionale che stavo vivendo. Ma non era ancora finita perché questa comunità essendo abituata a ricevere la visita di noi turisti, ha addirittura un canto di accoglienza speciale. Eh sì, davvero speciali, perché come se non ci notasse abbastanza noi palliducci in mezzo alla folla color caffelatte, ci hanno richiesto di alzarci in piedi mentre loro ci cantavano WELCOME WELCOME e mentre le personalità più importanti della comunità venivano a stringerci la mano. E noi lì, dure come pali, con la paresi facciale dai sorrisi che non sapevamo più come elargire, ripetendo THANK YOU a ruota, con le lacrime per quello che credevamo imbarazzo ma che è diventato commozione. Siamo rimaste per oltre due ore ma non fino alla fine, avevamo pur sempre dei bisogni da espletare e ancora molte, molte cose da vedere. Da Harlem ci siamo scaraventate di nuovo sulla 5a Avenue, per visitare l'ennesimo spot da turisti della città e cioè la cima del Rockfeller Center (Top of the Rocks). E se anche voi, una volta a NY vi trovate innanzi all'infernale dubbio se visitare la cima dell'EMPIRE STATE o il Top of The Rocks vi dico che sono entrambi degli stupendi palazzi, ma dal secondo si può vedere Central Park mentre dall'Empire no (perché appunto c'è il Rock davanti).
E poi, a 74 piani da terra e con Central Park ai tuoi piedi sembra tutto meravigliosamente piccolo. Sono rimasta lì a guardare un panorama che pareva lo sfondo di un film, una di quelle viste dall'elicottero, uno sfondo stampato su un poster. Da questo momento in poi è stato il momento di una pedicure nel mezzo di Williamsburg (unghie rosa evidenziatore, per sentirmi una di loro) e dell'acquisto dei souvenir: le mutandedi Victoria's Secret, i braccialetti da Williamsburg, la collana da Brooklyn, la tazza IO AMO NY, i sottobicchieridi Kate Spade, la collanada J.Crew, l'oliettoper capelli miracoloso e il fondotinta a prezzo scontato. Ma purtroppo non ce l'ho fatta a completare la lista delle cose americane da fare. Perché quando sei in America vuoi fare tutte le cose americane. La mia, personale lista di cose americane da fare era:
Top of the Rock - 30 Rockfeller Plaza





