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Zlata Filipović e i bambini di Sarajevo.

Da Arturo Robertazzi - @artnite @ArtNite
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“Alcune persone mi paragonano ad Anna Frank, e ciò mi sgomenta. Ho paura di fare la sua stessa fine”.

Il segnalibro marca la pag. 143 della mia copia del Diario di Zlata, edito in Italia da Bur – collana saggi. Meno di duecento pagine in cui Zlata, una bambina di Sarajevo di 11 anni, racconta la sua vita al diario Mimmy.

La prima pagina del diario di Zlata comincia così: “Dietro di me una lunga, calda estate, e i giorni spensierati delle vacanze estive; davanti a me, un nuovo anno scolastico”.

È il settembre 1991, esattamente vent’anni fa: Vukovar (la ‘Città’ del mio Zagreb) è già sotto assedio, pochi mesi, e la guerra si sposta in Bosnia.

“Mimmy, ho paura della GUERRA!!!”, scrive Zlata. È il 5 aprile, giorno che segna l’inizio dell’assedio.

Il diario di Zlata impressiona perché lei ha solo 11 anni, perché è una bambina che si è abituata alla guerra, che vede morire gli amici sotto i colpi dei cecchini, che capisce che la “divisione della popolazione in serbi, croati e musulmani” non ha senso, che ha paura e che scrive di essere “sull’orlo del suicidio”.

La storia di Zlata ha, però, un lieto fine: grazie al suo diario è notata dalla stampa internazionale e nel 1993, mentre le bombe ancora cadono, riesce a fuggire in Francia con la sua famiglia.

L’UNICEF stima che dei 65.000/80.000 bambini di Sarajevo, quasi la metà sia stata colpita da un cecchino, più della metà abbia visto qualcuno morire con i propri occhi e quasi tutti abbiano vissuto per lunghi periodi in rifugi sotterranei.

Durante l’assedio di Sarajevo, il più lungo della storia bellica moderna, 10.000 persone hanno perso la vita o sono scomparse. Di queste, più di 1.500 sono bambini.

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