Ha destato un certo scalpore la proposta della Giunta Regionale Sarda di istituire una zona franca nell’isola. Al di là della assoluta impalpabilità della proposta che non chiarisce minimamente i confini geografici (quali aree dell’isola sarebbero coinvolte?) e produttivi (quali prodotti e servizi accederebbero ai benefici?) quello che lascia perplessi è la tempistica della proposta che – si nota facilmente – è stata fatta a ridosso delle elezioni politiche.
Volendo prendere sul serio questa iniziativa la prima cosa che viene da dire è che essa non brilla certo per innovazione. Ciclicamente l’araba fenice della zona franca risorge dalle sue ceneri per incenerirsi nuovamente dopo un periodo di tempo, generalmente, abbastanza breve. Il primo a teorizzarne l’istituzione in Sardegna fu uno dei padri degli studi economici in questa isola: il Professor Giuseppe Todde prima docente di economia e diritto commerciale all’Università di Sassari e successivamente Rettore dell’Università di Cagliari. La sua visione dell’economia fu di stampo liberale e liberista e forse, addirittura, non è azzardato definirlo come un anarcocapitalista ante litteram. La sua idea di zona franca, è curioso notare, come sia caratterizzata per convinzione che sia economicamente sostenibile, per lo Stato, dal fatto che i costi per gli sgravi fiscali siano compensati dall’aumento dell’attività economica grazie all’apertura di nuove imprese. Insomma, Todde teorizzava una sorta di “Curva di Laffer” (cavallo di battaglia degli economisti della Reaganomics) un secolo prima di Laffer e della scuola di Chicago.
Questa premessa di tipo storico credo sia importante perché le idee hanno radici profonde e solo l’esplorazione dell’origine di esse ci può aiutare a comprenderle fino in fondo. Detto questo credo si possa asserire che la proposta di zona franca in Sardegna rientri chiaramente nei canoni delle idee della destra liberista. Questo cento anni fa come ora.
Entrando nel merito e sempre ipotizzando che la proposta della Giunta Regionale presieduta da Cappellacci non sia una facile promessa elettorale, credo sia giusto aggiungere alcune considerazioni sul fatto che non è stato chiarito l’aspetto più importante: i settori per i quali si richiede la fiscalità di vantaggio.
Se i settori coinvolti dalla zona franca fossero quello edilizio e quello industriale saremo di fronte ad un imponente attacco ai beni comuni ed in particolare al paesaggio e alla salute. Barattare il paesaggio concedendo una nuova colata di cemento dovuta ad incentivi all’edilizia sarebbe un errore gravissimo; infatti sarebbero attirate in Sardegna torme di speculatori a caccia di facili profitti che una volta ottenuto l’obbiettivo non lascerebbero nulla in grado di creare uno sviluppo reale e dunque autocentrato. Una zona franca che coinvolgesse il settore industriale sarebbe probabilmente ancora più devastante: oltre al danno al paesaggio ci sarebbe un danno all’ambiente con delle ricadute sulla salute pubblica delle popolazioni dei territori coinvolti. Troppo catastrofista? Direi di no, l’evidenza storica del passato tentativo di industrializzazione ci ha insegnato – a caro prezzo – come bisogna rifuggire dalle facili promesse fatte da capitalisti a caccia di profitti grazie ad incentivi o altre provvidenze statali.
Dunque della zona franca non si può salvare nulla? Secondo me no. Qualcosa si può salvare. Sarebbe un esperimento interessante concedere delle agevolazioni fiscali forti (non importa se l’operazione verrà chiamata zona franca o altro) al settore agroalimentare. Innanzitutto perché si valorizzerebbe un settore d’eccellenza dell’isola che in tutto il mondo sta diventando sempre più strategico. Da notare che a beneficiarne sarebbero aziende locali già operative ed inoltre si favorirebbe l’insediamento di nuove attività anche provenienti da oltre Tirreno purché interessate a investimenti di lungo periodo e non al facile profitto.
Purtroppo va detto che il settore agroalimentare è presidiato (anche a livello di attività di lobbing nella UE) delle grandi multinazionali del settore quindi è veramente difficile sperare che l’UE conceda simili agevolazioni in questo settore. L’unico nel quale la proposta avrebbe un reale effetto di sviluppo riuscendo anche a salvaguardare i beni comuni.
Pubblicato originariamente, con titolo diverso da quello da me proposto, sul Manifesto Sardo numero 140.