Anche se il padre-padrone della EON, Albert Broccoli, dichiarò di aver dovuto "allontanare" Roger Moore dal personaggio di James Bond, a me piace pensare che giunto molto vicino alla soglia dei 60 anni questi abbia lasciato volontariamente il ruolo. Sta di fatto che il casting per reclutare il nuovo protagonista non è faccenda semplice e coinvolse numerosissimi candidati, fra cui: Mel Gibson, Mark Greenstreet, Lambert Wilson, Antony Hamilton, Christopher Lambert, Findlay Light, and Andrew Clarke. La rosa si restrinse comunque solo a tre: Sam Neill, sostenuto dalla figlia di Broccoli, Barbara, Pierce Brosnan e Timothy Dalton. Neill non piaceva a Broccoli e non se ne fece niente; Brosnan al momento era sotto contratto per il serial TV Remington Steele. La vicenda è curiosa: la serie era già terminata, ma l'annuncio della candidatura di Brosnan riaccese l'interesse del pubblico, il che convinse la produzione a deliberare un'ultima stagione, impedendo a Brosnan di prendere parte al nuovo 007. La mancata partecipazione distolse l'attenzione del pubblico dal telefilm, di cui vennero in effetti girati solo cinque episodi. Insomma, una bella fregatura per Brosnan, ma va detto che Broccoli era riluttante ad assegnare il ruolo di Bond ad un attore identificato dal pubblico con un personaggio TV. Alla fine dunque la spuntò Timothy Dalton, attore foino ad allora prevalentemente teatrale relativamente conosciuto da noi per l'interpretazione del principe Barin in Flash Gordon.
Rispetto al "funny Bond" di Moore si cambia registro: l'atmosfera è molto più "realistica", prosegue il trend già iniziato da Octopussy in poi di spettacolarizzazione della violenza con sanguinose sparatorie che causano con tutta evidenza un sacco di morti. Persino i gadget non sono molto divertenti, ci sono due portachiavi: uno con grimaldello integrato, l'altro che a differenti fischi reagisce emettendo un gas soporifero o facendo esplodere una piccola carica di esplosivo. Bond e Q (il solito bravissimo Llewelyn) non battibeccano neanche un po', in omaggio forse la nuovo corso "realistic". Viene recuperata dopo diciotto anni la partnership con la Aston Martin: Bond può contare su una V8 Vantage attrezzata "per l'inverno" con slitte estraibili, lanciarazzi e motore a reazione. Dopo l'abbandono della serie di Lois Maxwell per raggiunti limiti d'età, il ruolo di Moneypenny viene affidato a Caroline Bliss, attrice teatrale e televisiva inglese.
Belle Avery (Kell Tyler) - Linda
Le Bond girls scarseggiano: la modella (negli anni 80 le modelle potevano fare qualsiasi cosa) Kell Tyler, interpreta l'annoiata riccastra Linda che consola 007 dopo il tragico epilogo della missione di addestramento prima dei titoli di testa; il ruolo principale viene sostenuto da Maryam d'Abo, giovane esponente di una famiglia di artisti che qui impersona Kara Milovy, promettente violoncellista amante di uno dei cattivi, il generale Koskov. Inutile dire che non resisterà al fascino di Bond di cui diventerà alleata. Senza offesa, ma dal punto di vista del fascino femminile questo è forse il film più sobrio dell'intera serie.Una leggenda metropolitana vuole che la flessione nel numero di donne sedotte da 007 sia stata decisa a tavolino in un momento storico in cui il rapido diffondersi del contagio dell'AIDS (in precedenza associato prevalentemente ad un troppo disinvolto gay lifestyle) suggeriva prudenza e morigeratezza. Mi limito a riportare il gossip non avendo elementi nè a supporto nè a detrimento della leggenda.
Maryam d'Abo - Kara Milovy
I titoli di testa, opera del solito Maurice Binder, finalmente iniziano a discostarsi un po' dal solito, mostrando immagini chiare e fotogrammi presi da scene del film. Questo capitolo è l'ultimo in cui la EON si avvale del contributo di John Barry per la colonna sonora, desiderando questi sperimentarsi in nuove sfide (desiderio che lo porterà a vincere il suo quinto Oscar per Balla coi lupi). Dopo i Duran Duran la title track viene affidata ai norvegesi A-ha, mentre la canzone sui titoli di coda ai Pretenders. Viene quindi confermata l'assegnazione della canzone del film ad artisti da alta classifica pop, standard in uso ancora oggi (ed ormai sappiamo quanto la ripetitività sia un fattore importante nel franchise di Bond).
L'accoglienza del film non fu malevola ma neppure entusiastica: venne apprezzato il tentativo di proporre uno 007 più simile nello spirito al personaggio letterario ma venne notata una generale mancanza di humour e di sex appeal in Dalton. Il film non si può dire fu un flop, ma non ebbe il successo sperato: rimane una delle peggiori, performance della serie battuto dal successivo Licence To Kill, di cui scopriremo qualcosa nella prossima puntata.
1987 - The Living Daylights (007: zona pericolo)
Regia: John Glen
Scenografia: Peter Lamont
Costumi: Emma Porteus