Magazine Cinema
Origine: USA
Editore: Einaudi
Anno: 2013
La trama (con parole mie): siamo in un prossimo futuro, e l'America - come il mondo - è stata sconvolta da un'epidemia in grado di trasformare gli esseri umani in zombies privi di controllo ribattezzati schel, pronti a divorare e rendere dei loro i pochi sopravvissuti dediti alla missione del ritorno al passato e sostenitori della Fenice americana, che dovrebbe riportare gli umani ad una condizione simile a quella esistente prima del Paziente Zero.Mark Spitz è uno spazzino, membro di improvvisate forze speciali che si dedicano alla pulizia delle aree della fu Manhattan in attesa di una futura riorganizzazione delle stesse con tanto di reinserimento della società civile così come è intesa da tutti coloro che hanno ancora memoria del mondo prima della catastrofe.Peccato che le cose non vadano propriamente come i paladini della lotta agli schel vorrebbero, e che una nuova ondata si prepari ad abbattersi sul loro nuovo sogno americano.
Fin dai tempi di Romero e del suo meraviglioso La notte dei morti viventi, lo zombie - personaggio al limite del ridicolo, almeno sulla carta - è riuscito a ritagliarsi, nella personale mitologia del sottoscritto, un ruolo di primo piano portato avanti non solo da uno dei padri fondatori del genere horror, ma anche da una miriade di proposte - più o meno riuscite - passate attraverso il Cinema, la Musica, la TV, il Fumetto e la Letteratura.Proprio per questo motivo quando incrociai per la prima volta il cammino con Zona Uno di Colson Whitehead - uno dei più promettenti giovani autori della scena newyorkese - pensai di essermi trovato tra le mani uno dei potenziali romanzi pronti ad entrare di diritto nella top ten dei libri da sempre celebrata nel corso dei Ford Awards di fine anno: peccato che, a conti fatti, la lettura dello stesso Zona Uno sia di fatto risultata una delle delusioni più grosse e clamorose che la pagina scritta abbia riservato dall'epoca del sopravvalutato Le belve.Dunque, perchè non riservare le bottigliate delle grandi occasioni, per il buon Colson?Principalmente perchè è difficile affermare che Zona Uno non sia ben scritto, erede della tradizione di Capolavori come Io sono leggenda o di Grandi Classici come Cecità, costruito in modo da quasi ammorbare di paroloni e stile il lettore per tre quarti di narrazione per poi esplodere letteralmente in una parte finale da urlo, roba quasi da non credere pronta a solleticare i dubbi rispetto ai livelli che questo romanzo avrebbe potuto raggiungere.Messi dunque in conto i due deterrenti principali - zombies e squartamenti a parte, si tratta fondamentalmente di un'opera estremamente radical chic, e fondamentalmente noiosa per la sua gran parte - occorre allo stesso modo applaudire il buon Whitehead per chicche quali l'aneddoto legato all'origine del "nome di battaglia" Mark Spitz - davvero splendido, tra il grottesco, il surreale, il trash e l'action puro - o il crescendo conclusivo, incalzante come pochi altri mi è capitato di affrontare almeno nel corso degli ultimi anni.Un peccato, dunque, che tutto sia preceduto da un gioco ad incastro tra presente e passato sicuramente ad effetto a livello stilistico eppure poco incisivo nel veicolare e descrivere al meglio l'atteggiamento di Mark Spitz nel presente di narrazione, segnato nell'esplorazione in compagnia dei colleghi Kaitlyn e Gary delle aree da sgomberare da quelli che furono, sono e saranno loro vicini, amici, parenti o semplici sconosciuti.Interessante, invece, il discorso legato alla mediocrità del protagonista, perfetto nel momento in cui si tratta di sopravvivere ad un mondo in decadenza dominato - volente o nolente - dalla malattia e dagli schel così come ad un passato in cui Mark Spitz si ritrova a prescindere dalla condizione, le occasioni, la preparazione, ad essere comunque un passo indietro rispetto all'eccellenza e troppo avanti per scomparire nel cuore della massa.
Con ogni probabilità, molti di noi - e, forse, perfino lo stesso Whitehead - si sentono così, e quando ci si ritrova intrappolati e soffocati, spinti a lottare principalmente per tentare di trovare una propria strada, è ancora più dura.
Eppure prima o poi si finisce per imparare a nuotare.
Che l'acqua attorno sia limpida e cristallina o che si tratti di un immenso, terrificante, denso fiume di morti che camminano.
MrFord
"Your songs remind me of swimming,
which I forgot when I started to sink
dragged further away from the shore,
and deeper into the drink."
Florence + The Machine - "Swimming" -
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