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Molte commedie italiane (penso per esempio a Mi rifaccio vivodi Sergio Rubini) partono magari da una splendida idea – ma poi soffrono di fiacchezza congenita nello sviluppo. Matteo Oleotto e i suoi tre co-sceneggiatori di Zoran il mio nipote scemosanno che il percorso da seguire è esattamente il contrario. Si può utilizzare uno schema tutt'altro che nuovo (quello del cuore di pietra conquistato dal parente/pupillo affibbiatogli ha una lunga storia che va dal muto passando per Shirley Temple fino a Cattivissimo me) perché l'importante è il modo in cui quest'idea si concretizza nella realizzazione: hic Rhodus, hic salta. In questo Zoran è assolutamente vincente, perché ha nerbo: possiede uno sviluppo ben calibrato, un'ottima gestione dei tempi comici e una cattiveria implicita, sanguigna e vinosa, anche se finisce – com'è giusto – in affetto e in relativa gioia. Ho detto vinosa, perché il vino bianco o nero è la linfa che scorre nelle vene di questa commedia paesana. Siamo ai confini tra il Friuli orientale e la Slovenia. Paolo Bressan è un ubriacone, gran rompipalle, poco stimato da tutti. Nella superba interpretazione di Giuseppe Battiston, è un Falstaff triste. “Tu sei una persona cattiva”, gli dice uno dei suoi amici-vittima, ma qui bisogna intendersi: è una di quelle persone dalla cattiveria egoista e a suo modo innocente nella sua incoscienza (nella commedia americana le disegnava alla grande Walter Matthau). Il suo punto debole è che è ancora innamorato della ex moglie Stefania (Marjuta Slamic), e infatti di notte tira sassi al villino del suo nuovo marito Alfio (un nome che allude con buffo rovesciamento alla Cavalleria rusticana). Alfio (Roberto Citran) è anche il suo datore di lavoro e (supposto) amico; i coniugi lo invitano anche a pranzo e lui ci va, per abboffarsi, per vedere Stefania e per sgraffignare le sue mutandine che poi si mette in testa in un feticismo fai-da-te. Alla notizia della morte di una zia slovena di cui neanche si ricordava, Paolo va in sollucchero all'idea dell'eredità (degno di Dario Fo il compianto funebre di Battiston davanti alle amiche scandalizzate della morta). Ma tutto quello che eredita è un nipote sedicenne che gli sembra scemo, di nome Zoran (per tutto il film lui lo chiama per sbaglio Zagor): con estrema riluttanza, lo deve custodire per alcuni giorni prima che vada in una casa famiglia. Interpretato dall'esordiente Rok Prasnikar in un pareggio di bravura con Battiston, Zoran è un occhialuto timido che parla - è l'invenzione più bella del film - in un italiano aulico (“Lo zio si perita di condurmi in Scozia”) appreso da due romanzi che cita a tutti e nessuno conosce. Orbene, quando Paolo scopre che “Zagor” è un campione con le freccette e non manca mai il centro del bersaglio (“Lo colpisci sempre?” - “Con estrema frequenza!”) cambia idea e si affretta a chiedere l'affidamento del nipote. Il suo piano: portarlo in Scozia, vincere il campionato del mondo e sparire con la borsa abbandonando Zoran sull'autostrada. Di qui si sviluppa una commedia vivacissima che è allo stesso tempo assolutamente folle e assolutamente realistica. Anche a parte l'interesse dell'inedita ambientazione, è davvero rinfrescante vedere un film in cui i personaggi parlano proprio come parla la gente (la comica eccezione di Zoran è giustificata dalla sceneggiatura) e agiscono e si muovono proprio come si muove la gente nella vita. In questo senso Zoranè l'esempio di come potrebbe essere la commedia italiana – ma non è. Un punto di forza è l'accurata definizione dei personaggi minori. Lontano dal costruire il film come un semplice vehicleper Battiston, Matteo Oleotto fa sì che, nel digradare d'importanza dei personaggi, anche i minori fra i minori si staglino come figurette memorabili (un esempio è la madre del barista Gustino col suo delirio notturno del tasso). Questa è una caratteristica che fa pensare alla commedia classica americana, che metteva il massimo dell'impegno proprio nel caratterizzare i personaggi di contorno.Il film possiede buoni valori tecnici, a partire da un eccellente montaggio del suono. Preciso e accurato il montaggio di Giuseppe Trepiccione; c'è una vera finezza all'inizio, quando, su un discorso avvinazzato guardando in macchina, quello che sembra un raggio di luce che cade in modo caravaggesco sul vino si trasforma in dissolvenza incrociata (aiutata in postproduzione) in una strada che taglia diagonalmente l'inquadratura. Soprattutto, come accentavo sopra, Zoranvanta una sana dose di cattiveria. Siamo nell'ambito di una commedia, e molto divertente, ma c'è un'inquietante carica di violenza latente in Paolo, una bomba umana pronta a scoppiare, che introduce nel film un elemento di autentica e stridula suspense. Vivacissimo poi è il senso del luogo. La fotografia di Ferran Paredes rende con evidenza fisica, tangibile, queste zone umide e malinconiche sotto un cielo grigio che invita al bicchiere... Epico il discorso della vecchia ubriaca sul vino Terrano di una volta che era più acido: “Io ho bevuto dei vini schifosi... che bei tempi!”
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