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Zuppa di ceci

Creato il 02 novembre 2010 da Enricobo2

Ci sono giornate in cui tutto è in perfetto equilibrio congruente. Un bilanciamento di Yin e Yang che sarebbe molto apprezzato in Oriente. I colori si sono mescolati e impastati tra di loro a formare quella che viene detta scala di grigi, continua e apparentemente monotona, in realtà percorsa da impercettibili variazioni. La pioggia sottilissima e persistente, si confonde con uno stato di umidità diffusa e sembra non cadere più dall'alto come sarebbe naturale, ma permeare l'ambiente penetrandovi da tutti i lati come a sfidare la gravità. Gravità che sembra annullarsi in una nebbiolina lattiginosa grigioazzurrognola che pare attutire anche rumori ed odori. Ieri in Val Chisone, anche lo spettacolare foliage autunnale, sembrava opaco e appiattito da questa sensazione di obnubilamento dei sensi, che rimangono prevalenti solo nelle profondità della mente e dei suoi tarli, direbbe il vecchio Lucio. Odori che tornano dal passato, rimasti accoppiati a momenti non ripetibili. C'era un profumo nell'aria in questo giorno freddo e umido, un tempo a casa mia. Quello della zuppa dei morti. La mia mamma, pessima cuoca per altro, in questo giorno ripescava questo piatto che le sarà stato tramandato dal suo passato.
Già la sera prima aveva con religiosa precisione, messo a bagno i ceci secchi e i grandi fagioli Bianchi di Spagna, che nei giorni precedenti aveva, al mercato, scelto tra i migliori. Li metteva in due grandi scodelle da caffelatte, che era di rigore invece per cena, leggermente sbrecciate, con il bordo cerchiato da una spessa linea marrone. Poi al mattino cominciava la preparazione della zuppa di cui non conosco l'operatività (ma che potrete vedere da Acquaviva, a cui cercherò anche di razziare una foto) e che arrivava in tavola orgogliosa e fumante a pranzo, nella gigantesca zuppiera a fiorellini vermigli, che la mia mamma appoggiava, sorridente, al centro del tavolo. I ceci ed i fagioli diventati rigonfi e giganteschi, adagiati su grandi fette di pane, si usavano solo quelle che in Alessandria son dette biove, spandevano nell'ambiente un profumo di salvia, mentre il mestolo pescava in quel brodo spesso e corposo. Che delizia! Me ne mangiavo sempre due piatti, forse prevedendo anche se non a livello cosciente, quanto mi sarebbe mancata poi, epifania irripetibile di un momento, di un calore, di uno stato che la vita, nel suo svolgersi naturale, ti avrebbe cambiato senza provare rimorso.
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