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Zuzanna Ginczanka

Da Paolo Statuti
Zuzanna Ginczanka

Zuzanna Ginczanka

Nacque a Kiev il 9 marzo 1917. Il suo vero nome era Sara Polina Gincburg. E’ considerata una delle più geniali poetesse del ventennio tra le due guerre. Nella sua opera si richiama allo Skamander e alla poesia di Leśmian (numerosi neologismi), alla poetica dell’avanguardia e dei futuristi. Debuttò nel 1931 a 14 anni con la poesia Il banchetto delle vacanze, pubblicata nella rivista della sua scuola. In casa si parlava russo, ma lei imparò la lingua polacca come autodidatta. Studiò pedagogia nella Facoltà di Scienze Umanistiche dell’Università di Varsavia. Dal 1936 collaborò col settimanale satirico Spilli, dove pubblicava le pungenti satire contro il crescente antisemitismo e contro il fascismo. Nello stesso anno uscì la sua unica raccolta di poesie I centauri. Trascorse i primi anni della guerra a Lwów, dove lavorò come contabile e dove sposò il critico d’arte Michał Weinzieher. Fu una strana unione, perché di fatto Ginczanka era legata al grafico Janusz Woźniakowski.

Nel 1942 una certa Chominowa, proprietaria dell’edificio dove la poetessa abitava, la segnalò come ebrea alla polizia tedesca. Fortunatamente riuscì a fuggire e si rifugiò a Cracovia, ma nell’autunno o nell’inverno del 1944 qualcuno informò la polizia che una sua vicina di casa aveva un aspetto decisamente ebreo. Fu arrestata dalla gestapo. Pensò di finire ad Auschwitz, ma venne fucilata nel cortile della prigione dove era rinchiusa, soltanto qualche settimana prima dell’arrivo dell’Armata Rossa a Cracovia. Aveva appena 27 anni.

Il messaggio artistico di Ginczanka è la “gioia eroica” della stessa esistenza, anche se contrassegnata dall’inquietudine esistenziale e dalla diversità (senza tregua la poetessa, nei versi e nella vita, sottolineava la sua diversità, il suo isolamento derivante dalla sua origine ebrea, e la sua intransigenza nel descrivere le esperienze della donna in genere e di una ebrea in particolare). Scrive Izolda Kiec: “Donna emancipata, libera da stereotipi, ribelle, non aveva bisogno della raccomandazione maschile per esistere nel mondo della cultura. Ma dietro le apparenze di questa indipendenza e l’entusiasmo degli uomini per i suoi versi e la sua bellezza, si celava anche un dramma, che poteva pienamente esprimersi soltanto nella sua poesia malinconica e ricca di motivi androgini”.

Dopo la guerra la sua poesia fu a lungo ignorata dalla critica. Negli anni ’50 uscì una sua raccolta di poesie, ma con notevoli ingerenze da parte del promotore della stessa. La prima monografia apparve soltanto negli anni ’90. 44 dei suoi versi più rappresentativi figurano nel libro pubblicato nel 2014 dalla casa editrice Biuro Literackie, nel settantesimo anniversario della morte, a cura del poeta Tadeusz Dąbrowski, dal titolo Ascensione della Terra. Nella presentazione Dąbrowski scrive: “Anche se ha lasciato soltanto un volumetto e alcune decine di poesie sparse nelle riviste e nei manoscritti, la sua creazione può dirsi conclusa (i poeti sentono in modo misterioso quanto tempo è loro rimasto). Realmente sentiva l’approssimarsi della guerra? Si dice che Gombrowicz, tornando un giorno a casa dallo Zodiaco, uno dei principali punti di ritrovo della bohème di Varsavia, abbia detto a Ginia (così gli amici chiamavano la poetessa) che per quella guerra imminente bisognava necessariamente procurarsi del veleno. E lei si mise a ridere”.

In Italia nel 2011 è uscita una raccolta di poesie di Zuzanna Ginczanka dal titolo Un viavai di brumose apparenze, a cura di Alessandro Amenta, Austeria Editore. Inoltre nel 2014, in occasione del settantesimo anniversario della morte, la TV italiana ha trasmesso un bel documentario sulla vita e la creazione della poetessa dal titolo La poesia spezzata, realizzato da Alessandro Amenta e Mary Mirka Milo.

  1. S.

 

Poesie di Zuzanna Ginczanka tradotte da Paolo Statuti

   Tra le poesie di Zuzanna Ginczanka la più nota è forse Non omnis moriar. Essa ha avuto un ruolo insolito come opera letteraria, in quanto la poetessa vi indicò il nome della delatrice che la segnalò ai nazisti, e in tal modo il testo servì come prova nel processo contro quest’ultima e altri suoi persecutori. Ginczanka era molto bella, ma a causa dei suoi tratti semitici – capelli e occhi scuri, carnagione olivastra, volto affilato – doveva nascondersi ed era braccata dai delatori. Riuscì a salvarsi dall’episodio che descrive nella poesia, ma la volta successiva la fortuna le voltò le spalle. In Non omnis moriar ci sono alcuni riferimenti alla celebre poesia Il mio testamento di Juliusz Słowacki, scritta a Parigi tra il 1839 e il 1840, in cui il fiero e solitario poeta romantico si accomiata dai suoi successori, pregandoli di prendersi cura dell’unica eredità da lui lasciata – la sua fama postuma. Ginczanka ironicamente affida ai suoi persecutori i suoi beni terreni.

Non omnis moriar…

Non omnis moriar – i miei fieri beni,

I prati delle mie tovaglie, i saldi armadi,

Gli ampi lenzuoli, le coperte preziose

E gli abiti resteranno dopo di me.

Non ho lasciato qui nessuna eredità,

Le semitiche cose il tuo fiuto rintracci,

Chominowa (1), audace moglie di una spia,

Delatrice svelta, madre di un folksdojcz (2).

Siano utili a te e ai tuoi, non ad estranei.

Voi miei cari – non sono parole vuote.

Vi ricordo, e quando arrivarono gli szupo (3),

Anche voi vi siete ricordati di me.

Che i miei amici siedano con le coppe alzate

E brindino al mio funerale e a ciò che avranno:

Kilim e arazzi, piatti, candelabri –

Bevano tutta la notte, e all’ultima stella

Comincino a cercare gioielli e oro

Nei divani, materassi, sotto i tappeti.

Oh, come lavoreranno bene e in fretta,

Nugoli di crine di cavallo e di fieno,

Nuvole di cuscini e piumini squarciati,

Le mani piumose diventeranno ali;

Il mio sangue la stoppa e le piume incollerà

E così alati in angeli si muteranno.

(1) Chominowa – Zofia Chominowa, proprietaria dell’edificio dove abitava Zuzanna Ginczanka, durante il suo soggiorno a Lwów negli anni 1939-1942. La Chominowa e suo figlio Marian furono accusati di delazione nei confronti della poetessa. Nel processo svoltosi a Varsavia a novembre del 1948, Marian Chomin fu assolto. Zofia Chominowa invece fu condannata a quattro anni di reclusione.

(2) folksdojcz – durante l’occupazione hitleriana era così chiamata una persona di origine tedesca (spesso non vera), la quale godeva di vari privilegi, rispetto alla restante popolazione polacca.

(3) szupowcy (in tedesco Schutzpolizei) – funzionari della polizia tedesca destinati alla pacificazione delle popolazioni nei paesi occupati.

Il ritorno

Ha già smesso di rombare la cascata. Calma si appressa la corrente

con larga onda di sollievi. Una nube intorpidisce all’alba.

Rotolano invisibili bocce di lontani pianeti,

le api dai nettàri succhiano il caldo fluido miele.

Da dove viene questo chiarore? Da là. Profuma il giovane bosco,

un torrente di bianca luce scorre e fruscia,

e streghe sedicenni saltano e cercano

nell’erba gli uccellini caduti questa notte dai nidi.

Nel bosco entra Minerva, dea della saggezza matura,

che viene dall’esperienza, che l’ordine introduce,

volge l’occhio sereno alle acque che hanno smesso di rombare,

si aggiusta sull’abito un mazzolino di viole dell’Olimpo

e dice:

“Una tenda a fiori getta sulle cose segrete,

nelle quali non puoi scorgere il profilo dei significati occulti.

Rassegnati alle apparenze. Stringiti forte al mondo

non con comprensione faticosa, ma con l’amore che ristora.

Accelera il tuo solenne ritorno alle vecchie verità

al suono delle trombe d’ottone, al fischio dei flauti,

al suono dei tamburi. Basta che il male sia chiamato male,

e già sai che cosa evitare, risuona il rombo dell’orchestra.

Torna ai cordiali abbracci del tenero amore famigliare,

alla lunghe strette di mano della bella e salda amicizia,

ai pensieri devoti e modesti, agli svaghi spensierati,

al lavoro incessante intorno a un’opera meritevole.

Infine da oggi non cercare un grande amore per il marito:

non ci sono evidenti indizi per riconoscerlo.

Scegli un abile giovane e prestagli un tenero giuramento,

e la fiamma salterà dalla bocca infiammabile al cuore”.

Delicati paesaggi distesi come laghi,

fonti provenienti dai sogni hanno sommerso tutti gli abissi.

Navigano su di essi. E’ il ritorno con la bandiera sull’albero,

per le cose che ho superato o non ho notato in tempo –

ed ecco ricordando gli avvisi vedo e vedo intorno

le cose piene di armonia, di luci, di forme stupende

e di preziosa temperanza. Nessuna burrasca si avvicina,

l’onda è piatta come vetro. E ormai non si frangerà. Quiete.

Meditazioni

Pegaso oggi mi tiene il broncio

e senza di me è fuggito nell’aldilà,

sono sola e considero

di questo mondo i problemi –

mi sono cacciata negli intricati

dubbi della Scolastica:

ti amo perché sono stupida,

o istupidisco perché amo?

Verginità

Noi…

Caos di nocciòli trasandati dopo la pioggia

profumo di polpa delle grasse nocciòle,

le mucche partoriscono nell’aria afosa

nelle stalle splendenti come stelle. –

O ribes e frumenti maturi

o succulenza pronta a sgorgare,

o lupa che allatti i piccoli,

occhi di lupa dolci come gigli!

Scolano le resine destinate al miele,

la poppa della capra pesa come zucca –

– scorre il bianco latte come l’eternità

nei templi del seno materno.

E noi…

…nelle ermetiche –

come termos di acciaio –

stanzette color pesca

impigliate fino al collo nei vestiti

facciamo

discorsi

culturali.

Chiarimento a margine

Polvere

non sono

e polvere

non tornerò.

Non sono scesa

dal cielo

e in cielo non salirò.

Sono io stessa il cielo

come solaio di vetro.

Sono io stessa la terra

come fertile terreno.

Non sono fuggita

da nessuna parte

e non ci

tornerò.

Oltre a me stessa non conosco altra distanza.

Nel gonfio polmone del vento

e nella calcificazione delle rocce

devo

me stessa

qui

dispersa

ritrovare.

(C) by Paolo Statuti



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