Magazine Diario personale

100 $ per un amore

Da Astonvilla
100 $ PER UN AMORE
La lunga fila stava compostamente unita, in attesa di giungere fino al box del controllo passaporti. Il caldo umido mi aveva colpito come un pugno, durante il tragitto dal velivolo all'aerostazione, effettuato su di un pullman che aveva visto giorni migliori. La prima cosa che mi colpì, furono le grandi lettere che campeggiavano sull'edificio dell'aeroporto e che formavano il nome dello stesso: Josè Martì. Per fortuna, all'interno dello scalo, l'aria condizionata faceva il suo dovere abbastanza bene regalando, così, un deciso sollievo. Dopo circa le quindici ore passate tra aeroporti ed aeroplani, con le caviglie gonfie a causa del ristagno del sangue, stavo per realizzare il mio sogno. Il soldato del controllo passaporti rigirò diverse volte il mio documento, osservando prima la foto e poi la mia persona, per passare successivamente alla verifica della tarjeta del turista che era, in fondo, la richiesta del visto di entrata. Alla fine, appose dei timbri e, riconsegnandomi il tutto, mi augurò un felice soggiorno. Dopo aver recuperato il bagaglio dall'unico nastro trasportatore in funzione e aver negato di aver bisogno di albergo e taxi a delle gentilissime hostess addette alla cura dei turisti in arrivo, varcai finalmente la porta di uscita. Fuori, ad attendere chissà chi e chissà cosa, c'era una variopinta folla di cubani che indagai con lo sguardo. Il caldo mi aveva nuovamente assalito e mi ritrovai improvvisamente stanco e disorientato quando, una vocina, s'alzò da un crocicchio di persone. "Claudio!". Quando rividi Fidelia, confesso di essermi sentito appagato di quella lunga parentesi di attesa che era trascorsa da Varadero all'Avana. Mi corse incontro e mi abbracciò forte dandomi il suo benvenuto con un bacio che aveva un sapore dolce e profumato.
"Sono contenta che tu sei qui. Sai -confessò- fin quando non ti avrei visto arrivare, non lo avrei creduto possibile il rivederti".
Sorriso per il suo italiano un pò comico e per la gioia che mi era salita ascoltando le sue parole ma mantenei un briciolo di razionalità, anche perché non vedevo l'ora di stendermi su di un letto a recuperare le forze sciupate dalla stanchezza prodotta dalla posizione forzatamente noiosa del volo.
"Prendiamo un taxi? Hai visto la casa di tua zia?" le chiesi.
"Il taxi è fuori che ci aspetta. Lo avevo noleggiato prima, per arrivare all'aeroporto ed ho chiesto al padrone di aspettarmi. Adesso andiamo al Vedado da mia zia che ci porterà alla casa. SOno felice".
Seduto sul grande sedile posteriore di una Toyota decisamente nuova, ammiravo tutto quanto potevo cogliere con lo sguardo. Le case, le vie trafficate da biciclette e da motorini cinesi, da vecchie automobili statunitensi e da massicci camion sovietici. Ma, soprattutto, guardavo gli habaneri che si confondevano in modo omogeneo con l'architettura che, spesso, avevo ammirato nelle foto delle guide turistiche e dei libri che avevo letto a Milano. Fidelia tentò l'inizio di una conversazione. "Com'è stato il volo? Che tempo faceva in Italia? Hai mangiato?".
Estrassi dal pacchetto l'ultima sigaretta e l'accesi. "Il viaggio è stato stancante. L'altra volta, quando venni a Varadero, ricordo che fu più comodo, forse perché era un volo senza scali e cambi di aereo. Stamattina, a Milano, faceva un freddo boia, altro che tropici...ma tu, a proposito. Hai mangiato?". Scosse la testolina in segno di negazione e aggiunse "No. Tiengo hambre".
"Ma tua zia, quella che ci affitta la casa, ci può preparare qualcosa da mangiare se le diamo i dollari?" chiesi.
"Certo, ma ci vorrà del tempo per fare la spesa e trovare tutto quello che le chiederai...ma io ho fame adesso!".
"C'è un chiosco dove poter mangiare qualcosa affinché ti passi questa fame?". Senza rispondermi, chiese all'autista di fermarsi davanti ad uno dei pochi chioschi dove si poteva mangiare hamburger e hot dog. La macchina deviò dolcemente sulla destra ed imboccò il tunnel che ci conduceva all'inizio del Malecòn, il lungomare dell'Avana. Due ragazzini stavano giocando con delle camere d'aria gonfiate all'inverosimile che avrebbero usato come canotti e come oggetti da tirarsi addosso. La Toyota si fermò sulla sinistra del Malecòn, lasciandoci liberi di attraversare la strada per raggiungere la tienda che preparava spuntini veloci. Fidelia chiese un paio di perro caliente ed un succo di mango gelato mentre io continuavo a seguire con lo sguardo, quella banda di monelli svestiti che pareva essere un equipaggio della Tortuga. Pagai con cinque dollari senza aspettare il resto e generando, così, lo stupore e la disapprovazione di Fidelia che, però, non disse nulla. Con la bustina di plastica contenente i panini e la lattina di bibita, ci avviammo lentamente al taxi che continuò la sua traversata per l'Avana.
Il Vedado era uno dei quartieri della città. Una volta zona residenziale, conservava ancora intatta la sua condizione architettonica che si evidenziava attraverso i graziosi villini coloniali, tutti dotati di un minuscolo patio adibito, per lo più, a garage di vecchie auto d'epoca. A Calle 38 ci fermammo. Fidelia gridò qualcosa e subito si spalancò un portoncino dal quale emerse una bella mulatta. "Questa è mia zia Juliet" disse. La donna mi sorrise e di disse "Buenos Dìas senor. Todo bien?". RImasi colpito dalla dolcezza del suo tono di voce e dalla bellezza del suo corpo, cosa che Fidelia notò istantaneamente. "Ti piace mia zia?" disse dandomi una gomitata all'altezza dello stomaco.
La zia rise della scenetta di gelosia che era avvenuta davanti ai suoi occhi "Està loca por ti. Tiene miedo de perderte, Claudio" e, continuando a ridere, entrò in casa. Il conducente del taxi, scaricò i bagagli dentro l'abitazione che sarebbe stata il nostro nido per quelle due settimane. Si trattava del piano superiore del villino abitato da Juliet e da suo marito, ed era composto da una grande camera da letto dotata di un apparecchio di aria condizionata che avrebbe meglio figurato in un negozio di modernariato dei Navigli; un bel bagno con servizi completi ed un piccolo saloncino che completava l'aerea abitativa. Tutte le finestre erano saldamente impreziosite da artistiche inferriate costruite con tondino di ferro dipinto di un passato verde oliva.

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