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56. Buchi neri

Creato il 09 novembre 2011 da Fabry2010

Pubblicato da fabrizio centofanti su novembre 9, 2011

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La lotta era entrata nel vivo, mi arrestarono per l’ennesima volta.
Fu allora che accadde qualcosa che ognuno interpretò secondo la propria prospettiva. Parlo di Malcolm.
La piazza era gremita, come sempre, il colonnato era la casa dei fantasmi, da cui uscivano ombre mute che curiosavano nei pensieri della gente.
Quando piombò a Selma, qualcuno pensò che infliggesse il colpo di grazia del partito radicale.
Era imprevedibile, sapeva accendere le folle con l’eloquenza incalzante del violento, di chi trascina in azioni di forza anche i più restii.
La calca si agitava, era tutto un consulto, una domanda. A un certo punto, sul balcone, si affacciò un uomo dai capelli bianchi e mantellina rossa.
Io stesso non sapevo che aspettarmi: spesso mi aveva attaccato, apostrofandomi come lo zio Tom, il leccapiedi della razza bianca.
Lui credeva alle strisce rosso – sangue, pensava che le stelle cominciano a brillare quando si tolgono di mezzo gli aguzzini che le occultano.
Un personaggio anziano gli porge un foglio con gesti calcolati e millimetrici; all’estrema destra, un maggiordomo è immobile e impettito.
Mi aveva definito ridicolo e patetico, più volte dichiarò che con le azioni non violente il movimento raggiungeva il livello più basso della storia.
Pensava che il fuoco purificasse la bandiera americana, che l’ingiustizia e l’arroganza dovessero bruciare fino all’ultima fibra.
La porta aperta, dietro di loro, sembra enorme: un buco nero in cui lo spazio e il tempo sono divorati dalle attese, in cui i desideri e le speranze si concentrano in un vortice esplosivo.
Cercava in ogni modo di screditare le mie azioni, di togliere fondamento alle mie idee.
Credeva che alla violenza occorresse opporre la violenza, i calci ai calci – ricordi, quella volta? Eri a terra, eppure continuavano, esaltati, ti rotolavano da una parte all’altra come un tappeto sdrucito che non serve più a nessuno.
Stava per pronunciare le parole, ma è come se venissero inghiottite prima di uscire dalla labbra: dicono che i buchi neri permettono di viaggiare nel tempo, perché i cunicoli collegano regioni cronologiche e spaziali eterogenee.
Cosa successe, quella volta, a Selma? Me lo chiedo ancora.
Ricordi? Ricordi? Eri un sacco di patate, godevano sentendo che non potevi più reagire, che in quel corpo trascinato sulla strada c’era il popolo nero sottomesso, la vittoria imperitura del continente bianco.
Me lo immagino: uno scarico di lavandino in un pannello trapunto di galassie.
Era diverso: disse a mia moglie che non voleva infierire su un uomo chiuso in cella.
Il fuoco! Il fuoco! Che tutto bruci, per risorgere totalmente rinnovato.
Poi, dal buco oltre lo spazio e il tempo, le parole si formarono da sole: Nunzio vobis gaudium magnum. Habemus papam!
Disse di essere venuto per far comprendere che ai bianchi sarebbe convenuto Martin King: lui, Malcolm, avrebbe fatto di peggio.
Ricordi? Quel giorno giurasti che non avresti perdonato.
La folla è impazzita, un movimento ondulatorio si trasmette da un lato all’altro della piazza, sanctae romanae ecclesiae cardinale Montini.
Era sincero, non potevo non stimarlo.
E cominciai la lotta.
Dovevo parlarci, raggiungere il prima possibile San Pietro.


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