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‘A trivella

Creato il 30 maggio 2012 da Tnepd

‘A trivella

La foto che ieri è stata forse la più postata su Facebook: da Cavezzo vicino a Modena.

Come tutti coloro che hanno vissuto i due forti  terremoti del 20 e 29 maggio, sia pure solo indirettamente e senza patirne conseguenze gravi se non lo spavento, la nausea da traghetto con il mare grosso per tutto il giorno e un paio di scariche violente di adrenalina durante le scosse, mi sono posta delle domande e anch’io, dopo aver letto molte cose in rete in questi giorni, mi sono fatta, come Debora Billi, l’idea che  regni una gran confusione, sulla quale marciano anche sicuramente in molti. C’è chi spara cavolate su Maya e congiunzioni astrali  e chi vuol far finire nel calderone delle cavolate anche le domande più che legittime dei cittadini che meriterebbero una risposta più approfondita della risatina e della derisione nei confronti del complottismo internettiano.
Ciò che ciascuno di noi più seriamente può fare, è cercare di riordinare le informazioni che si trovano in rete e ristabilire un poco di logica nell’argomento, per quanto è possibile. Perché questa non è la storia di ciò che è accaduto ma di ciò che potrebbe accadere in futuro.

C’è confusione, dicevo. Ad esempio sul fracking che, secondo alcuni, avrebbe provocato i terremoti in Emilia propagatisi poi in tutto il Nord Italia  e, oltre alle scosse, anche il fenomeno della subsidenzacon l’apertura di enormi crepe con fuoriuscita di melma sabbiosa dal terreno. Fenomeni che hanno giustamente creato grande allarme nella popolazione, oltre al progetto di realizzazione di un deposito sotterraneo di gas a Rivara a San Felice sul Panaro, la cui storia è raccontata qui.
Il fracking (idro-frammentazione) è una pratica di estrazione di gas naturale e ultimamente anche di petrolio attraverso iniezioni ad altissima  pressione di acqua e sostanze chimiche in profondità nel terreno, che fratturano le rocce per liberane il gas intrappolatovi. La tecnica risale agli anni ’40 del secolo scorso ed è stata sempre più perfezionata nel corso dei decenni dall’industria petrolifera. La prima corporation a sfruttarlo economicamente fu Halliburton. L’attuale tecnica di estrazione di shale-gas, è stata introdotta nei primissimi anni novanta.

Sul fracking sono sorte da anni parecchie controversie negli Stati Uniti, dove si è notato, nelle aree in cui è praticato intensivamente, un aumento dell’attività sismica o addirittura la comparsa di violenti terremoti in zone normalmente “tranquille” e si sono documentati livelli preoccupanti di inquinamento ambientale (dovuto alle sostanze tossiche impiegate per la fratturazione delle rocce e al gas e petrolio che possono contaminare le falde acquifere e i terreni coltivati).
C’è un bel documentario, “Gasland”, che racconta le vicissitudini delle popolazioni che vivono nei pressi dei campi di idro-frammentazione. Il Vermont ha proibito infine il fracking, come pure la Francia in Europa.
Un sito con moltissimo materiale sulle questioni ambientali legate al fracking è il blog di Maria Rita D’Orsogna, una fisica italiana che, dagli Stati Uniti, dove vive ed insegna, è molto attiva nel denunciare i pericoli di un’attività estrattiva sempre più a rischio deregolamentazione. Pericolo sul quale torneremo più avanti e che è forse il focus di tutta la discussione.

Che il fracking sia una pratica non perfettamente ecosostenibile lo ammette perfino il CEO di Gazprom, Alexei Miller:

“A parte gli enormi consumi di acqua, questo metodo produttivo può causare l’inquinamento delle acque sotterranee e anche provocare l’attivita’ sismica.” (fonte: blog diMaria Rita D’Orsogna.)

Come afferma giustamente questo articolo, ci vorrebbero delle ricerche indipendenti che definissero una volta per tutte il grado di pericolosità delle tecniche estrattive di gas e petrolio e ne stabilissero i limiti di applicazione per zone densamente popolate e a naturale rischio sismico. Se chiediamo il parere solo ai petrolieri o a ricercatori che magari sono loro dipendenti, ci diranno sempre che non c’è pericolo, che il fracking è un toccasana e che il petrolio nel miele e nell’acqua potabile fa bene alla pelle. Se già si sono verificati terremoti in concomitanza di intense attività umane che hanno attinenza con le dinamiche del sottosuolo, è giusto domandarsi se la correlazione con l’evento sismico c’è ed è significativa.
Detto tutto questo, da quanto si sa, si può affermare che il fracking non è (ancora) praticato in Italia, almeno fino a quando qualcuno non porterà le prove tangibili che dimostrino il contrario, e sarebbe un atto illegale da parte delle industrie petrolifere, perché non risultano autorizzazioni ufficiali a praticarlo.

Tornando all’attualità, non bisogna confondere il fracking con la semplice trivellazione, anche se entrambe le tecniche scavano buchi molto profondi nel terreno. La trivellazione serve per individuare il giacimento. Se vengono trovati gas o petrolio e il giacimento viene considerato meritevole di essere sfruttato, perché l’operazione ha pur sempre un altissimo costo, si procede, eventualmente mediante idro-frammentazione, all’estrazione.

Il territorio italiano, soprattutto per quanto riguarda, ad esempio, la Basilicata e la Pianura Padana, è sottoposto da moltissimo tempo a trivellazioni per la ricerca di metano e petrolio. Era un pallino di Enrico Mattei, quello di sfruttare le potenzialità energetiche dell’Italia per renderla più libera dallo sfruttamento delle Sette Sorelle. Si è sempre detto però che i giacimenti italiani erano poveri, che il nostro petrolio era di scarsa qualità e troppo costoso da estrarre e che il gas era intrappolato sotto territori densamente popolati, quindi difficilmente gestibile. Nonostante ciò,  non si è mai smesso di cercare nuovi giacimenti.
Qualcosa potrebbe però cambiare. L’Italia è un paese in liquidazione come l’Argentina di Menem. Alcuni asset ancora efficienti e produttivi, come la SNAM (gas), fanno gola ad investitori stranieri che potrebbero accattarseli con quattro schei. L’ex sottosegretario Saglia, l’ex ministro Paolo “Colpo Grosso” Romani, nonché l’attuale ministro Passera si sono espressi a favore dello sfruttamento dei giacimenti nostrani di gas e petrolio, anche ricorrendo ad una tecnica discussa come il fracking, se fosse necessario.
Dimenticando che chi farebbe le trivellazioni e le eventuali estrazioni sarebbero multinazionali estere non certo per beneficenza et amore dei, che le ricadute positive economiche per il nostro paese sarebbero inferiori al danno ambientale prodotto (come altri casi hanno dimostrato in passato) e che infine, permanendo le royalties, che il governo italiano pretende sull’estratto, a livelli ridicoli di nemmeno un 10% (a fronte dell’80-90% preteso dalla Libia), il risultato potrebbe essere una pacchia per gli investitori stranieri e una iattura per noi. Trivella selvaggia, insomma. In un paese dove, se qualcuno solleva giusti interrogativi prima che succedano i disastri o in occasione di essi, viene subito tacitato con la storia della “bufala del fracking”. Nel paese del Vajont, della diga costruita dove non doveva esserlo, tra montagne geologicamente  in movimento.

Insomma, se è vero che, almeno per il momento, il fracking non è praticato in Italia e quindi non può aver provocato il terremoto in Emilia, siamo sicuri che anni di trivellazioni non abbiano indebolito il sottosuolo? Che il fracking non possa essere introdotto in futuro, magari da una classe politica impegnata solo a fare cassa ad ogni costo? Se questi terremoti emiliani sono un fenomeno naturale, non indicano inequivocabilmente che il nostro territorio è inadatto ad essere tormentato con pratiche invasive che potrebbero peggiorare una situazione idrogeologica già compromessa? Incaponirsi a cercare petrolio e metano in Val Padana quando potrebbero esserci risorse investite nelle fonti rinnovabili ad impatto più sostenibile, non dovrebbe cominciare ad essere chiamato con il suo nome: follia?
Sono le domande delle persone che vivono e lavorano e adesso muoiono in quelle zone e che necessitano risposte. Altro che cavarsela con la scusa del complottismo e delle bufale.


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