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Aggressione e psiche: effetti, conseguenze e strategie per fronteggiarla

Da Renzo Zambello

In Italia una donna su tre, tra i 16 e i 70 anni, nella sua vita, ha subito una aggressione, è stata vittima della violenza di un uomo. Secondo i dati dell’Istat, sono 6,743 milioni le donne che hanno subito nel corso della propria vita aggressione, violenza fisica e sessuale, tre milioni quelle che hanno subito aggressioni durante una relazione o dopo averla troncata. Si tratta di violenze domestiche soprattutto a danno di mogli e fidanzate: 8 donne su 10 malmenate, ustionate o minacciate con armi hanno subito le aggressioni in casa. Un milione di donne hanno subito uno stupro o un tentato stupro. A ottenere con la forza rapporti sessuali è il partner il 70% delle volte e in questo caso lo stupro è reiterato. Il 6,6% delle donne ha subito una violenza sessuale prima dei 16 anni, e più della metà di loro (il 53%) non lo ha mai confidato a nessuno. Gli autori sono degli sconosciuti una volta su quattro, nello stesso numero di casi sono parenti (soprattutto zii e padri) e conoscenti.” Dati tratti dal sito: http://www.associazionedonnalibera.it.

Dati inquietanti. Numeri enormi di storie drammatiche, di persone la cui soggettività è stata lesa, ferita. Non a caso in psicologia si parla di trauma, che in greco significa appunto ferita, danno, lacerazione.

Le esperienze di vittimizzazione sono esperienze traumatiche, senza se e senza ma. Subire un’aggressione può significare per la vittima vivere una minaccia di morte (se non addirittura morte reale) o gravi lesioni e certamente è una minaccia alla propria integrità psichica. Una tale esperienza inoltre comporta sentimenti di paura intensa, impotenza e orrore.

Un’esperienza simile, dove non si sa se si sopravvivrà e dove si provano emozioni così forti, tali da essere insopportabili, segna indelebilmente, lasciando profonde ferite nella psiche della vittima.

In questa breve trattazione, descriverò i principali effetti che l’esperienza di un’aggressione può comportare e indicherò le principali strategie per farvi fronte.

Pensiamo ad una donna che, di notte, camminando per una strada scarsamente illuminata e poco frequentata, si imbatta in un uomo appoggiato ad un muro, che la guarda. Lei cerca di distogliere lo sguardo, ma lui continua a fissarla. Attraversa la strada per evitare di passargli accanto, al che lui le grida qualcosa. Lei fa finta di niente, accelera il passo. Di tanto in tanto rivolge lo sguardo all’uomo, che la segue. La donna inizia a correre e l’uomo con lei. Ad un tratto viene afferrata da braccia che non aveva visto. Un complice del primo uomo sembra spuntare fuori da un vicolo buio, dal lato in cui la donna camminava. L’altro li raggiunge. La donna prova ad urlare, ma una mano sulla sua bocca glielo impedisce e quasi fatica a respirare. Sente l’odore sgradevole del fiato dell’uomo che la trattiene e non capisce cosa i due stiano dicendo. Viene trascinata nel vicolo dai due. Loro ridono, parlando in una lingua che lei non capisce. Viene colpita da uno schiaffo e ripetutamente insultata. Prova a divincolarsi ma l’uomo che la tiene è troppo forte. L’altro le punta una lama alla gola. La donna sente di essere spacciata. Ha paura di quel che potrebbe succederle da qui a qualche istante. Potrebbero violentarla e ucciderla. Si sente impotente, completamente alla mercé dei due aguzzini. Viene malmenata e violentata. Poi lasciata sola nel vicolo. Piange, disperata. Ciò che ha vissuto è una ferita continuerà a sanguinare molto più delle ferite del corpo.

La nostra vittima probabilmente presenterà una serie di sintomi che incideranno sul funzionamento normale della sua vita. Esistono diversi tipi di manifestazioni sintomatiche connesse con le esperienze traumatiche. Ne descriverò le principali.

Sintomi di reviviscenza del trauma, dell’aggressione. Ciò significa che la vittima potrebbe avere pensieri intrusivi relativi al trauma che la riportano a quel momento, degli incubi ricorrenti del trauma subito o dei flashback che la riportano a quella situazione come se la stesse rivivendo; potrebbe iniziare ad agitarsi e stare male in qualsiasi situazione la riporti al momento del trauma (per esempio sentendo in televisione elementi che assomigliano alla lingua degli aggressori).

Molto probabilmente la vittima presenterà anche sintomi di evitamento. Ciò significa che ella compirà ingenti sforzi per evitare pensieri, sensazioni o conversazioni associate con il trauma; cercherà anche di evitare attività, luoghi o persone che evocano ricordi del trauma. È possibile che la nostra vittima cercherà di non girare più da sola, o che eviterà di uscire di notte.

Inoltre è probabile che presenti una riduzione dell’interesse o della partecipazione ad attività prima del trauma ritenute significative, o che manifesterà sentimenti di distacco o di estraneità verso gli altri; potrebbe anche presentare affettività ridotta (per esempio mostrandosi incapace di provare sentimenti di amore verso i suoi cari); e potrebbe anche manifestare sentimenti di diminuzione delle prospettive future (per esempio aspettandosi di non poter avere una carriera, un matrimonio o dei figli o una normale durata della vita).

Infine potrebbe presentare sintomi di aumentato arousal, cioè vivrebbe stabilmente con un livello di ansia molto più intenso rispetto al periodo precedente all’aggressione. Ciò potrebbe comportare: difficoltà ad addormentarsi o a mantenere il sonno; irritabilità o scoppi di collera apparentemente ingiustificati; difficoltà a concentrarsi; ipervigilanza; esagerate risposte di allarme in situazioni vissute precedentemente come normali o neutre.

È plausibile che tra gli altri sintomi, ella presenti sintomi dissociativi. Questi comprendono:  la sensazione soggettiva di insensibilità, distacco o assenza di reattività emozionale; la riduzione della consapevolezza dell’ambiente circostante (per esempio potrebbe rimanere come stordita, mentre intorno a lei le persone continuano tranquillamente a svolgere le loro attività, notando forse una persona con lo sguardo fisso nel vuoto…); derealizzazione, cioè potrebbe vivere la realtà come se fosse finta, come se in qualche modo lei non appartenesse alla realtà che percepisce; depersonalizzazione, cioè potrebbe avere la sensazione di essere dissociata dal suo corpo e dall’immagine di lei stessa prima del trauma, sentendosi un’estranea a se stessa; potrebbe infine presentare amnesia dissociativa (cioè l’incapacità di ricordare qualche aspetto importante del trauma).

Se i sintomi durano dai due giorni successivi al trauma alle successive quattro settimane, si parla di disturbo acuto da stress; se i sintomi perdurano, si parla di disturbo post traumatico da stress. È necessario sapere che i sintomi possono avere un esordio tardivo, cioè possono non manifestarsi in un periodo direttamente successivo rispetto all’esposizione all’evento traumatico.

Oltre a tali sintomi da stress traumatico, la persona potrebbe sviluppare sintomi depressivi, attacchi di panico, disturbi del sonno, disturbi della sfera sessuale.

Una vittima ha bisogno di aiuto psicologico immediato, a partire dai familiari o chi le sta vicino. È possibile che, sull’onda dell’emotività il marito della vittima le dica: “Quante volte ti ho detto di non uscire da sola?! Non potevi chiamarmi?! Ti sarei venuto a prendere!!!”. Un’accoglienza del genere potrebbe avere un effetto deleterio, perché consiste in una traumatizzazione secondaria. La vittima non si sente capita, non viene ascoltata, anzi, viene persino rimproverata. Nei casi peggiori la traumatizzazione secondaria consiste nel dire chiaramente alla vittima: “te la sei cercata: è colpa tua”. Una traumatizzazione secondaria è pericolosissima anche perché mina nella vittima le aspettative di ricevere aiuto. “Se chi mi sta intorno non mi ascolta, chi mai potrebbe farlo?!” o ancora “Forse è vero, forse me la sono cercata. Meglio che stia zitta e non dica niente a nessuno”. Se la vittima inizia ad avere pensieri del genere, accompagnati da sentimenti di sfiducia, molto difficilmente chiederà aiuto. E il suo quadro psicologico potrebbe peggiorare.

Il primo aiuto pertanto è necessario che giunga dalla comprensione e dall’empatia dei famigliari.

Una vittimizzazione porta spesso le vittime a provare colpa e vergogna per quello che hanno subito, sentendo di aver sbagliato in qualche modo, di avere una responsabilità nell’aggressione, o addirittura di “avere qualcosa di sbagliato”, per cui l’aggressione non solo sarebbe stata da loro provocata, ma sarebbe addirittura meritata. È importante che i famigliari per primi aiutino le vittime accogliendole, facendo in modo che non si sentano giudicate ed aiutandole a capire che non hanno colpa per quello che è successo loro.

Dopo la famiglia, il primo luogo dove in generale è importante chiedere aiuto, specialmente in caso di ferite e/o contusioni, è il Pronto Soccorso. È fondamentale che il personale medico e infermieristico sia sensibile ed empatico nei confronti della vittima, in modo da evitare ulteriori traumatizzazioni secondarie. È necessario che, chiedendole di raccontare cosa è successo, i clinici siano sensibili nel lasciarle il tempo di cui ha bisogno e che le rivolgano le domande in modo tale da non turbarla ulteriormente. È importante, infine, che il personale sanitario tenga conto dell’esperienza traumatica anche nel momento in cui sottopone la paziente ad eventuali esami clinici. Si pensi per esempio ad una vittima di violenza sessuale. Un esame ginecologico di per sé potrebbe rievocare nella donna ricordi dell’episodio traumatico. È necessario pertanto che il medico ne tenga conto ed aiuti la persona, spiegandole quali siano le procedure e a cosa servano, agendo con estremo garbo e rispetto.

La vittima deve essere trattata con il massimo rispetto e, se questo manca, ella ha il diritto di esigerlo!

Qualora la vittimizzazione non consistesse in un’aggressione fisica, ma in minacce verbali, o in comportamenti di stalking, la vittima potrebbe presentare comunque sintomi come quelli elencati prima.

In tutti i casi  è necessario che la vittima CHIEDA AIUTO PSICOLOGICO. Ciò è possibile per esempio rivolgendosi presso un centro antiviolenza, o presso un Centro di Igiene Mentale. Presso le asl, i consultori familiari, i centri psicosociali (CPS), le persone ferite da traumi possono trovare esperti psicologi, psichiatri e psicoterapeuti che potranno aiutarle a rielaborare quanto accaduto, attenuando gradualmente i sintomi per poi estinguerli in modo da riappropriarsi finalmente della propria vita.

Un percorso di cura può essere effettuato anche privatamente, ma sempre con l’aiuto di uno psicologo, psichiatra o psicoterapeuta.

Talvolta può essere necessario accostare una terapia farmacologica (a cura dunque del medico psichiatra) ad una psicoterapia, effettuata da uno psicoterapeuta. La cura farmacologica in alcuni casi risulta indispensabile per attenuare i sintomi più acuti e dolorosi. Permette quindi di ottenere un sollievo nell’immediato laddove il dolore risulti insopportabile.

La psicoterapia è un processo dialogico, dove molto contano le capacità di ascolto e l’atteggiamento empatico del terapeuta, che permette di rielaborare i vissuti traumatici, integrandoli nel continuum dell’esistenza della persona. I risultati sono da attendersi in un periodo più lungo, ma essi sono destinati ad essere duraturi.

Qualunque percorso psicoterapeutico la vittima intraprenda, la terapia può dirsi conclusa nel momento in cui la sua mente non è più invasa da intrusioni di ricordi e sensazioni spiacevoli relative al trauma e non sente più l’esigenza di usare strategie comportamentali che risultano invalidanti in diverse aree della sua vita. Al termine della terapia, la persona sarà in grado di affrontare il presente senza doversi difendere dal passato avvertito come minaccioso.

Alberto Longhi

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