Magazine Salute e Benessere

Allenamento e i “confini” della fatica

Creato il 12 settembre 2011 da Marco Caggiati

fatica allenamento

Chiunque si sia cimentato in un qualsiasi allenamento d’endurance o anche in un “semplice” workout dedicato alla tonificazione muscolare si è trovato “faccia a faccia” con la fatica, un’inseparabile compagna d’allenamento con una doppia “identità” amica e nemica allo stesso tempo….

Mi capita molto spesso con i miei clienti di parlare di fatica e di percezione della fatica…., in quanto un atleta la da per “scontata” ma per un sedentario il suo “incontro” a volte può essere traumatico ed inconcepibile!!!

:-)

Oggi voglio dare risposta ad alcuni quesiti che mi sono posto durante la mia carriera d’atleta amatoriale e di professionista del movimento..

La fatica è uguale per tutti?

Quali sono i motivi fisiologici dell’insorgere della fatica?

Ci si abitua alla fatica, per una sorta di assuefazione ad essa?

Fino a dove ci si può spingere nella sopportazione della fatica?

Iniziamo a dare delle risposte..

:-)

La fatica è uguale per tutti?

Ritengo che la fatica sia estremamente equa, in quanto colpisce sia il campione olimpico che il sedentario che corre per la prima volta nella sua vita!!! Quindi la fatica riguarda tutti, ma a livelli prestazionali ovviamente differenti… Prendendo ad esempio la corsa per 10 km un atleta professionista inizierà a percepire fatica prossimo ai 22/24 km/h, il sedentario molto probabilmente prossimo ai 10/11 km/h (o meno….).

Quali sono i motivi fisiologici dell’insorgere della fatica?

La comparsa della fatica muscolare può dipendere dal “cedimento” di uno dei seguenti elementi cosiddetti “funzionali”:

1)   Il motoneurone (cellula del sistema nervoso che provoca la contrazione muscolare).

2)   La giunzione neuromuscolare (sede dell’unione tra una fibra muscolare e la terminazione della fibra nervosa motoria ad essa destinata).

3)   Il meccanismo contratile (si intende la struttura vera e propria del muscolo, la “carne” per intenderci..

:-)
).

4)   Il sistema nervoso centrale.

Gran parte degli studi concernenti la fatica muscolare locale hanno preso in considerazione il meccanismo contrattile che può essere compromesso, in estrema sintesi, per i seguenti motivi:

a)   Accumulo di acido lattico.

b)   Esaurimento delle scorte di ATP e PC (Adenositrifosfato e Fosfocreatina).

c)   Esaurimento delle scorte di glicogeno muscolare.

d)   Mancanza di ossigeno ed inadeguato flusso di sangue alle fibre muscolari.

Ci si abitua alla fatica, per una sorta di assuefazione ad essa?

Una volta individuati i fattori scatenanti la fatica è relativamente facile sviluppare protocolli d’allenamento ed alimentari che procrastino la sua insorgenza…, questo non significa però che si possa fare “scomparire” come per magia. La fatica rimane sempre, cambia solo il livello prestazionale dove la si percepisce..e la capacità mentale di gestirla. Infatti non è assolutamente scontato riuscire a gestire la fatica, soprattutto per i neofiti del movimento. Inizialmente è difficile riconoscere la fatica “buona” quella che ci permette, se sopportata, di evolvere in qualcosa di migliore (supercompensazione) da quella “cattiva” che sfocia in vero e proprio dolore da lesione muscolare, tendinea o articolare.

Fino a dove ci si può spingere nella sopportazione della fatica?

Questa è la classica domanda da “1.000.000 di dollari”, in quanto non si può “insegnare” a qualcuno a riconoscere qualcosa senza fargliela “conoscere”….

:-)
. E’ come spiegare “a parole” ad un bambino quand’è che l’acqua scotta……
:-)
. Capiamo cosa significa “l’acqua che scotta” solo nel momento in cui ci mettiamo dentro una mano…..
:-)
.

La cosa certa è che la maggior parte dei neofiti non ha la più pallida idea di cosa significhi “fare fatica” e si fermano “centinaia di metri prima del traguardo”……

In carriera ho lavorato con molte persone che al primo accenno di affanno o addirittura di sudore erano soliti interrompere l’esercizio!! La mia reazione è sempre stata la stessa.., una sonora risata esclamando: stai tranquillo perché ciò che senti non è mica una malattia!!

:-)
:-)

Non c’è niente da fare e da dire….. bisogna provare a spingersi “un po’ più in là” e vedere dove si trova il confine tra fatica e dolore!!  Infatti c’è un “momento” dove la fatica diventa dolore e non è più positiva, produttiva ma diventa nociva.. Io per fortuna e purtroppo, in questo caso specifico,  ho un’alta propensione alla ricerca del limite della fatica, amo mettermi in difficoltà e vedere fino a dove posso arrivare!!!

Per spiegarti cosa intendo dire voglio raccontarti  un aneddoto che mi riguarda personalmente. Avevo 20  anni e mi ero approcciato da poco alle gare di Triathlon e durante una competizione mi sono provocato una microfrattura ad un osso del piede a causa di una distorsione, che si è tradotta in uno stop forzato dagli allenamenti per più di un mese….. Al termine della dovuta riabilitazione ho ricominciato a correre senza particolari problemi e dopo due settimane mi sono presentato ad una competizione podistica che prevedeva 2 percorsi 10 e 21 km… Il mese di “astinenza” mi ha spinto come un sasso che rotola giù per un dirupo ad iscrivermi senza nemmeno pensarci alla mezza maratona (21 km)…

:-)
distanza mai corsa in vita mia!!!

Fino al 14°/15° Km è andato tutto bene.., ho dovuto “dialogare” solo con la fatica poi gradualmente e sempre più insistentemente, ha iniziato a farmi male il ginocchio sinistro.. Il mio istinto di sopravvivenza mi lanciava chiari messaggi che mi urlavano “fermatiiii che ti fai male” ma la mia forza di volontà mi ha portato ad arrivare, zoppicando, al traguardo dove ho provato una soddisfazione immensa…… Però….., che prezzo ho dovuto pagare..? Dopo mezz’ora dall’arrivo il mio ginocchio si è trasformato in un melone colmo di liquido sinoviale e a malapena riuscivo a zoppicare….

Qual è la “morale della favola”? Mi sono approcciato ad una gara troppo lunga in relazione al mio allenamento e quando un’articolazione ha deciso di “abbandonarmi”, proseguendo la corsa mi sono procurato una lesione cartilaginea che tutt’ora, nei mesi invernali, mi da fastidio……

:-(
.  Quell’esperienza è stata estremamente educativa…..

Ora voglio darti alcune “dritte” su come riconoscere certamente la fatica “buona” dal dolore nocivo.

Fino a che la sensazione di fatica/dolore è generalizzata puoi stare tranquillo, quando invece è localizzata in un muscolo, tendine o articolazione specifica (un piede, una spalla, un ginocchio, un muscolo specifico ecc) e non sai per quale motivo ti fa male allora ti consiglio di desistere, abbandonare l’allenamento o la gara e valutare insieme ad un professionista “da dove viene” il dolore…. “Immolarsi” per la causa non è mai intelligente.., al momento opportuno è meglio fermarsi a riflettere…

:-)

Per capire cosa sia la fatica e fino a dove ci si può spingere nella sua conoscenza e nella sua sopportazione mi piacerebbe parlarti del mio amico Massimo Voltolina che il 5 di settembre scorso ha attraversato a nuoto il mare Adriatico dalla Puglia all’Albania……, con il solo ausilio di un costume da bagno de degli occhialini……. L’ho sentito in questi giorni per fargli i miei complimenti è mi ha già raccontato alcune chicche interessanti…

:-)
. Questa settimana lo incontrerò per “un’intervista dettagliata” che ti regalerò  lunedì 19 settembre!!!
:-)

E tu cosa ne pensi della fatica? Che esperienze mi puoi raccontare al riguardo? Lasciami un commento sarò felice di risponderti!!!

:-)

Ciao e buon allenamento!!!


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :

Dossier Paperblog