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Analisi del romanzo “Cent’anni di solitudine”

Creato il 31 marzo 2014 da Valeria Vite @Valivi92

Cent’anni di solitudine, il cui titolo originale in spagnolo è Cien años de soledad, è uno dei capolavori letterari più significativi del Novecento; essendo stato tradotto in più di venti milioni di copie, dal 2007 viene considerato l’opera in lingua spagnola più importante dopo Don Chisciotte della Mancia. e può essere considerato un simbolo del boom latino americano degli anni ’60 e ’70. Il romanzo è stato scritto nel 1967 dal Premio Nobel Gabriel Garcia Màrquez, l’autore sudamericano più letto al mondo.

ATTENZIONE, SPOILER!

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Large flowering sensitive plant, l’immagine di copertina del romanzo

L’Edizione tascabile

In tutte le librerie è disponibile l’edizione tascabile dell’opera dei Classici Moderni Di Oscar Mondatori, inconfondibile grazie alla bellissima opera utilizzata per l’immagine di copertina: Large flowering sensitive plant, un’illustrazione tratta da The temple of flora di Robert Thornton. L’opera rappresenta un albero esotico (probabilmente una palma, un albero del cocco o del cacao) verso la quale si dirigono in volo due uccellini in un paesaggio collinare.

L’albero è una figura ricorrente nella storia della famiglia Buendìa: il capostipite e fondatore di Macondo Josè Arcadio uendìa, per esempio, venne legato ad un castagno quando venne creduto pazzo e il suo fantasma resistette in quella posizione anche dopo la sua morte, la pianta richiama inoltre l’albero genealogico e la famiglia, i banani piantati dalla compagnia bananiera o semplicemente un elemento del paesaggio della Columbia. Persino nella profezia di Melquidades viene menzionato un albero, sempre in relazione alla triste storia del fondatore di Macondo: -Il primo della stirpe è legato a un albero e l’ultimo se lo stanno mangiando le formiche.-

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La trama

“Il migliore amico è quello che è appena morto”

Il romanzo racconta le solitarie vite dei membri della famiglia Buendìa, dal capostipite all’ultimo ramo dell’albero genealogico; nel corso dello svolgimento dei fatti, i protagonisti vivono, muoiono, si riproducono e compiono imprese memorabili. L’opera tratta inoltre la storia di Macondo, fondato da Josè Arcadio Buendìa e sua moglie Ursula, i capostipiti della famiglia, che si è modificato nel corso degli anni varie bonificazioni, l’avvento degli zingari, la guerra e ogni sorta di piccolo ma inesorabile cambiamento provocato dallo scorrere del tempo sino alla fine, quando una catastrofe naturale distruggerà Macondo e tutti i Buendìa delle ultime generazioni. La conclusione della storia di Macondo arriverà sotto forma di punizione divina proprio quando le pergamene di Melquiades, uno zingaro conosciuto da Jose Arcadio Buendia, verranno tradotte dall’ultimo discendente della famiglia.

Seguire la vicenda della famiglia può essere un po’ complicato poiché molti personaggi hanno gli stessi nomi, dunque può essere utile consultare nel corso della lettura un albero genealogico come questo, proveniente da Wikipedia:

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La morale del romanzo

“Un atmosfera di destino imperscrutabile e di fatalità, storie di desolazione e di solitudine in cui la mancanza di amore alimenta i deliri del potere.” (Prefazione)

La morale del romanzo viene svelata solamente verso la fine dell’opera: inizialmente attraverso gli indizi individuabili nelle parole del narratore onnisciente, in seguito da ciò che Aureliano scopre nelle pergamene di Melquiades. Cent’anni di solitudine racconta come ciascun essere umano sia condannato a vivere, lottare e soffrire in solitudine, senza mai essere pienamente compreso dalle persone che lo circondano. La solitudine viene presentata come un ingrediente indispensabile seppur doloroso nella vita umana, è il sentimento principale provato da tutti i personaggi della storia ed è provocata dall’incapacità di amare e di offrire solidarietà al prossimo. Anche i morti patiscono questa condizione di solitudine quando ritornano sulla terra e, paradossalmente finiscono per stringere amicizia con coloro che furono nemici in vita.

“Il segreto di una buona vecchiaia non è altro che un patto onesto con la solitudine”

Nell’opera viene inoltre presentata una concezione della storia circolare, comparabile quasi ad un eterno presente, infatti di generazione in generazione gli eventi sono destinati a ripetersi, senza che si verifichi alcun progresso per i cittadini di Macondo. E’ il caso della ribellione dei liberali contro i conservatori, durante la quale il colonnello Aureliano divenne eroe di guerra. Non molto tempo dopo la conquista dei conservatori gli operai della compagnia bananiera attuano una lunga serie di scioperi, in cui viene coinvolto come sindacalista Josè Arcadio Secondo, che vengono brutalmente repressi dall’esercito provocando la morte di tremila scioperanti. José Arcadio sarà il solo sopravvissuto oltre a un bambino d’identità ignota: fuggirà dal treno diretto al mare per eliminare i cadaveri della strage e ritornerà a Macondo. Solo la decifrazione della profezia di Melquiades potrà spezzarel’eterno presente in cui vive cristallizzata la città di Macondo e permettere al tempo di seguire un corso lineare.

Un romanzo totale che, in uno scenario biblico di decadimento, riesce a dare spessore e solidità mistica alla realtà.

“Un romanzo totale che, in uno scenario biblico di decadimento, riesce a dare spessore e solidità mistica alla realtà.” (Prefazione)

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Uno rivoluzionario scrittore

Gabriel Garcìa Marquez, Gabo, per gli amici ha inserito nel romanzo molti elementi della propria vita vissuta. Nato ad Aracataca nella Columbia atlantica, il suo anno di nascita è avvolto nel mistero: secondo alcuni venne alla luce nel 1928, ma la versione più credibile festeggia il suo compleanno il 6 marzo 1927. Primogenito di sedici figli, nacque dal telegrafista Gabriel Eligio Garcìa e dalla chiaroveggente Luisa Màrquez Iguaràn. In Cent’anni di solitudine figurano delle zingare chiaroveggenti e che Pilar Ternera, l’amante dei fratelli Aureliano e Josè Arcadio era in grado di predire il futuro con le carte proprio come la madre dello scrittore.

I genitori si trasferirono a Barranquilla affidando il bambino ai nonni materni. Nicolàs Ricardo Màrquez Mejìa, il nonno dell’autore, era un vecchio colonnello di fede liberale come Aureliano ed accompagnò realmente il nipotino in uno stabilimento della multinazionale United Fruit per vedere il ghiaccio. La nonna Tranquilina Iguaràn Cotes trascorse gran parte della sua vita vestita a lutto come Ursula e Amarante, sostenne di essere una confidente dei morti (e spesso a Macondo i fantasmi interagiscono con i vivi), e fu una straordinaria narratrice di storie mirabolanti o magiche, analoghe a quelle che compaiono nel romanzo. Il villaggio in cui il futoro scrittore visse la sua infanzia fu messo in ginocchio dal boom bananiero, in quel periodo si verificarono eventi non dissimili da quelli narrati nel romanzo.

Nel 1936 il nonno morì e Màrquez raggiunge i genitori a Sucre dove, grazie ad una borsa di studio, riuscì a frequentare le scuole a Barranquilla e poi a Zipaquirà. Diplomatosi nel 1946, iniziò a studiare legge all’Universidad Nacional di Bogotà; in questi anni scrisse i primi racconti per El Espectador, per dimostrare ad un amico che la propria generazione era ancora capace di produrre scrittori. Nel 1948 però in Columbia dilagava la violenza politica perciò le università vennero chiuse e allo scrittore non restò che abbandonare gli studi, ritirarsi sulla costa a Cartagena e dedicarsi al giornalismo. L’autore lavorò per due anni come redattore di El Universal, dopodiché si trasferì a Barranquilla, dove collaborò con Hel Heraldo e si unì ad un gruppo letterario di giornalisti e scrittori che fu molto importante per la sua formazione.

In una rubrica di commenti in libertà chiamata La Jirafa, firmandosi con lo pseudonimo Septimus, lo scrittore tracciò i profili di alcuni personaggi che sarebbero comparsi in seguito nelle sue opere. Fu l’inizio di un florido periodo di produzione artistica che durò quasi quarant’anni, durante il quale Màrquez scriverà praticamente un unico grande libro sul tema della solitudine. Nel 1951 terminò Foglie morte ma non riuscì a farlo pubblicare; ebbe invece successo il racconto L’inverno, poi ribattezzato Monologo di Isabel mentre vede piovere su Macondo, che è ambientato in un universo incantato e terribile di un villaggio caraibico molto simile a Macondo di Cent’anni di solitudine ed è intriso del medesimo senso di solitudine. Nel 1953 per mantenersi divenne rappresentante di libri, poi tornò a Bogotà per riprendersi il posto di redattore di El Espectador.

Nel 1955 riuscì finalmente a pubblicare Foglie morte (in cui compare nuovamente il personaggio di un colonnello) inoltre uscì Racconto di un naufragio, un reportage sul naufragio del marinaio Velasco. In altri racconti di questo periodo si ritrovano alcune tracce di Cent’anni di solitudine: ritroviamo infatti le pasquinate che devastano la vita di un villaggio soffocato dal caldo e le peripezie di un colonnello cui nessuno scrive mai e che alleva galli da combattimento.

Lo scrittore, che in questo periodo si era occupato anche di cinematografia, venne poi inviato in Europa, dove frequentò per alcune settimane un corso al Centro sperimentale di cinematografia di Roma, quindi si stabilì a Parigi, dove affrontò una dura situazione economica in quanto la dittatura colombiana di Rojas Pinilla aveva sospeso la pubblicazione dei giornali indipendenti.

Nel 1957 raggiunse Caracas e nel 1958 si trasferì a Barranquilla, dove si sposò con Mercedes Barcha. Dopo la rivoluzione si trasferì a Cuba per lavorare a Prensa Latin, l’agenzia giornalistica fondata da Fidel Castro. Fino al 1960 ne fu il corrispondente da Bogotà, poi venne trasferito a New York ma perse il posto in seguito a manovre di potere, perciò si trasferì in Messico, dove nacquero i suoi due figli Rodrigo e Gonzalo.

Nel 1967, dopo aver riflettuto sul progetto per una quindicina d’anni, iniziò a scrivere Cent’anni di solitudine (che nel 1982 gli permetterà di vincere il Nobel) che terminò dopo soli diciotto mesi, riscuotendo un successo straordinario, che gli permise di trasferirsi a Barcellona, dove visse sino al 1975. Nel 1972 gli vinse il prestigioso premio Ròmulo Gallegos e destinò la somma ottenuta ad un gruppo rivoluzionario venezuelano. Nel 1975 cerca disperatamente un nuovo linguaggio con Autunno del patriarca, un musicale poema in prosa in cui si riconosce ancora vividamente l’impronta di Cent’anni di solitudine.

Nel 1976 dichiarò inoltre di abbandonare la letteratura per protesta contro il regime cileno di Pinochet, successivamente iniziò a girare il mondo come giornalista, impegnandosi in favore dei popoli oppressi. Un comportamento degno del colonnello Aureliano Buendia!

Nel 1981 Cronaca di una morte annunciata racconta un fatto realmente accaduto, che affronta il dramma della responsabilità collettiva nel microcosmo sociale caraibico. Nel 1982 ottenne il premio Nobel per la Letteratura e nel 1985, anno in cui morì suo padre, venne pubblicato L’amore ai tempi del colera.

Negli ultimi anni di occupò inoltre di discorsi, molti dei quali sono stati raccolti ne Non sono venuto a far discorsi (2010), e di reportage. Collaborò a diverse produzioni televisive e, 1992, firmò con altri intellettuali connazionali una petizione per la fine della guerra nel suo paese, cambiando dunque posizione politica. Nel 1997 abbandonò il paese a seguito di una situazione che definirà “invivibile e insicura”. Dieci anni dopo venne invitato a pronunciare un discorso davanti ai membri dell’Accademia della Lingua spagnola e ai reali di Spagna in occasione del suo ottantesimo compleanno.

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Macondo, immagine tratta da statoquotidiano.it

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Un libro che merita il Nobel

Cent’anni di solitudine ebbe un successo così strepitoso da diventare il termine di paragone delle altre opere di Gabriel Garcìa Marquez, che a loro volta vengono tutt’ora lette come un’anticipazione o un prolungamento del capolavoro; l’opera permise inoltre a Gabriel Garcìa Màrquez di diventare non solo uno scrittore di successo, ma di partecipare al boom letterario latinoamericano insieme ai romanzieri Mario Vargas Liosa, Julio Cortàzar e Carlos Fuentes. Garcia giustifica con questa frase l’incapacità dei libri precedenti di ottenere un’analoga fortuna: -Ho sempre creduto che il cinema, con il suo tremendo potere visivo, fosse il mezzo di espressione perfetto. Tutti i miei libri precedenti a Cent’anni di solitudine sono come intorpiditi da questa certezza.- Nonostante lo straordinario ed immediato successo del romanzo, il Nobel per la letteratura arrivò decenni più tardi, nel 1982.

Il libro di Màrquez riesce a scardinarsi da ogni sorta di folclore, testimonianza naturalistica di maniera e dalla denuncia politica fine a se stessa per raccogliere in un solo romanzo i valori e l’immaginario della Colombia e dell’intero continente sudamericano, in cui il suo popolo e le nazioni vicine potessero riconoscersi e con cui fosse possibile raccontare il Sudamerica al resto del mondo.

Il 1967, anno di pubblicazione del romanzo, fu un periodo particolarmente fortuito per pubblicare un opera politicamente impegnata. Il ’68 era infatti alle porte, così la nuova generazione di rivoluzionari e la società in subbuglio non aspettavano altro che trovare un’opera letteraria in cui specchiarsi. Garcìa Marquez era un attivo sostenitore del regime cubano e fu per lunghi anni sostenitore del sistema sovietico e il suo libro venne letto in chiave politica da molti. L’autore risponderà: “Credo che il dovere rivoluzionario dello scrittore sia scrivere bene […] Il romanzo ideale è un romanzo assolutamente libero, che non solo inquieta per il suo contenuto politico e sociale, ma anche per il suo potere di penetrazione nella realtà; e meglio ancora se è capace di rivoltare la realtà per mostrarne il rovescio”.

Luis Borges scriverà del romanzo: “Si tratta di un libro originale, al di sopra di ogni scuola, di ogni stile e privo di antenati”, ma è evidente che Gabriel Garcia Marquez si lasciò influenzare da Faulkner, Kafka, Juan Rulfo, Virginia Woolf, Hemingway, Greene e Sofocle. L’opera viene inquadrata nel Modernismo e nel movimento letterario legato alla rivista cubana Vanguardia.

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Un libro di storia e politica

“E’ più facile iniziare una guerra che finirla”

Parallelamente alle vite dei membri della famiglia Buendìa avviene l’evoluzione della cittadina di Macondo, che può essere considerata una metafora della storia della Colombia, anche se i fatti non sono narrati in ordine cronologico ma seguendo gli sbalzi temporali voluti dall’autore. I saccheggi dei corsari inglesi lungo la costa spagnola del XVII secolo sono rappresentate nel libro dagli assalti di Francis Dake a Riohacha, che provocarono la fuga degli antenati dei Buendia. La fondazione di Macondo e alcuni eventi successivi come l’arrivo degli zingari, la costruzione della chiesa e l’entrata in scena del “correggitore” governativo conservatore, fanno riferimento alla colonizzazione della Colimbia (1830 circa), dopo la dissoluzione della Grande Colombia di Simòn Bolivar.

La guerra dei mille giorni (1899-1901), combattute dal colonnello Aureliano, si è conclusa realmente con la resa dei liberali, che hanno firmato la pace nella compagnia bananiera di Neerlandia il 24 ottobre 1902, stipulando un accordo che venne successivamente ratificato a novembre su una nave statunitense. Nei primi del XX secolo si verificò la venuta della tecnologia, che si manifesta nel romanzo attraverso la comparsa di tanti piccoli oggetti simbolo di modernità, e della multinazionale nordamericana United Fuit Company, rappresentata dalla compagnia bananiera di Mr. Brown e nominata anche nella prolessi iniziale.

L’omicidio dei 17 figli del colonnello Aureliano rappresentano i primi omicidi politici nella Colombia degli anni ’20, in un periodo chiamato La Violencia. Una strage dei lavoratori bananieri in sciopero da parte dell’esercito come quella vissuta da Josè Arcadio secondo si è veramente verificata a Santa Marta nell’ottobre del 1928. Anche i cicloni tropicali e le alluvioni sono una metafora del clima ambientale ella foresta amazzonica distrutta per seminare banani, con conseguenze disastrose per una regione sottoposta a piogge abbondanti. La depressione economica dei villaggi bananieri è un omaggio a Aracataca, il paese d’origine dell’autore. Pur trattandosi di avvenimenti accaduti in Colombia, il nome del paese non viene mai menzionato, forse perché nell’Ottocento, epoca in cui si svolgono buona parte dei fatti narrati, lo stato della Colombia non esisteva ancora.

Anche se Macondo è un luogo mitico, l’autore gli ha conferito una collocazione ben precisa: la cittadina sorge infatti nella foresta pluviale colombiana nella penisola della Guajira, non lontano dal Mar dei Caraibi. Considerando che i fondatori hanno viaggiato per due anni partendo da Riohacha prima di fondare Macondo, è probabile che la cittadina si trovi diverse centinaia a sud della stessa: nei dintorni della Sierra Nevada de Santa Marta, vicino ad Aracataca, città natia dello scrittore. Makond era il nome di uno dei villaggi bananieri abitati dai grignos vicino ad Aracataca, davanti al quale passava il piccolo Garcia Màrquez quando si recava con la madre a trovare alcuni parenti. Makond era un vilaggio cinto dal filo spinato, oltre il quale era possibile intravedere il ricco universo dei nordamericani, popolato da belle donne eleganti, case maestose, leggi e stili di vita completamente diversi per il quale il piccolo futuro scrittore iniziò a considerare Makond la città ideale.

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La stazione ferroviaria di Macondo

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Temi dell’opera

Lo stile della scrittura è semplice e favolistico, la narrazione veloce e ricca di avvenimenti. Ispirandosi alla tecnica dello scrittore argentino Jeorge Louisorges, che scrisse Il giardino dei sentieri che si biforcano, l’autore non narra i fatti in ordine cronologico ma inserisce numerose cornici temporali, analessi e prolessi, come il celebre incipit: “Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendìa si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio.” Tale scelta stilistica rende il tempo del racconto estremamente remoto, quasi epico.

Un altro elemento che accomuna Cent’anni di solitudine al boom latinoamericano degli anni ’60 e ’70 è il realismo magico, un filone letterario in cui gli elementi magici appaiono in un contesto realistico in cui non mancano eventi storici e scene appartenenti alla sfera quotidiana, senza suscitare scandalo o scetticismo nei personaggi. Le vicende sovrannaturali accadute ai membri della famiglia Buendìa permisero all’autore di inserire nel racconto alcuni miti e leggende locali. Tra i numerosi eventi magici ricordiamo l’apparizione del fantasma del defunto Prudencio Aguilar, la levitazione di padre Nicanor Reyna, la preveggenza del colonnello Aureliano, il fantasma di Melaquiades, l’ascensione al cielo di Remedios La Bella, l’apparizione dell’Ebreo Errante, il diluvio della durata di quattro anni. E’ molto probabile che queste storie furono ispirate ai racconti fantastici della nonna dell’autore.

L’artista è un abile prestigiatore nell’alternare elementi fantastici al quotidiano, così i personaggi della storia agiscono sullo stesso palcoscenico dei fantasmi e degli incantesimi e interagiscono tra l’oro in un’atmosfera che rasenta la mitologia. Quando i personaggi entrano in contatto con il divino, anziché soprendersi o spaventarsi, interagiscono in tutta calma, sentendosi perfettamente a proprio agio.

E’ curioso notare come molti personaggi di Cent’anni di solitudine portino i nomi di amici e famigliari dell’autore, è il caso di Màrquez, Gabriel (nipote del colonnello liberale Nicolàs Màrquez Mejia, proprio come il personaggio fittizio Gabriel è nipote del colonnello Gerineldo Màrquez), Iguàran e Cotes. La madre di Marquez ispirò inoltre il personaggio di Ursula. La malattia dell’insonnia che annulla i ricordi, oltre ad essere una critica all’America Latina che ha dimenticato il proprio passato, è un riferirmento all’Alzheimer, una malattia purtroppo molto diffusa nella famiglia Màrquez.

Nell’opera sono presenti numerosi riferimenti all’alchimia e all’esoterismo, un gioco letterario strutturalista di significati e numerose tematiche psicoanalitiche, come quella dell’incesto. Quest’ultima non sarebbe soltanto un evidente riferimento al complesso d’Edipo, ma anche una causa della distruzione della stirpe inevitabile per una famiglia e un paese rinchiuso in se stesso. Sono stati inoltre rilevati degli archetipi antropologici junghiani e dei simboli di amore e di morte.

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Giudizio finale

Si tratta di un’opera veramente particolare per l’ambientazione, i fatti narrati e lo stile adottato dall’autore. Il ritmo del racconto tuttavia è estremamente lento perciò ho impiegato mesi per terminarlo, inoltre è molto difficile seguire lo svolgimento dei fatti senza confondere i personaggi, chiamati quasi tutti allo stesso modo. Ho apprezzato invece moltissimo l’ambientazione magico-realistica, infatti spero presto di leggere altri libri dell’autore.

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Scorcio di Macondo, immagine tratta da iriscroll.com


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