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Ancora sulla vita quotidiana di un traduttore editoriale

Creato il 22 ottobre 2012 da Alessandraz @RedazioneDiario
Pubblicato da Redazione Cari colleghi e lettori,
prima di tutto voglio ringraziarvi ancora per l'interesse dimostrato per il precedente articolo sulla traduzione editoriale. Questo nuovo post doveva essere una risposta ai vostri commenti e, invece, si è trasformato in un nuovo articolo, perché credo sia importante spiegare ancora meglio la situazione. 

Se purtroppo esistono cattive traduzioni non è perché l'editore decide di assumere «hobbisti». È semmai il contrario: dato che l'editore paga pochissimo i traduttori e li paga quando gli torna più comodo (cioè non rispettando i termini del contratto che lui stesso firma) li obbliga a diventare dei traduttori part-time con tutto ciò che ne consegue. Perché è chiaro che se un traduttore non riesce a mantenersi vivendo del suo lavoro, DEVE trovarsene un altro che gli permetta di pagare affitto, bollette, benzina, cibo e tutto il resto. Nel mio caso specifico, tradurre di notte, perché di giorno DEVO andare a lavorare fuori casa, di sicuro incide negativamente sulla qualità delle mie traduzioni; perché dopo aver passato otto ore a fare un lavoro mentalmente e fisicamente pesante, quando mi siedo al computer per tradurre la soglia di attenzione si abbassa notevolmente e non certo perché io sia un hobbista della traduzione, ma semplicemente perché sono sfinita. Infatti, nei giorni di riposo, quando ho la possibilità di restare a casa e di concentrarmi 9/10 ore al giorno sulle traduzioni, non solo traduco molto meglio ma mi rendo anche conto di eventuali errori commessi. E li correggo.

Ancora sulla vita quotidiana di un traduttore editoriale Inoltre, dovete anche considerare i tempi di consegna. Se l'editore decide che ha fretta di pubblicare un libro, i tempi di consegna per il traduttore si fanno ancora più ristretti e torna il solito adagio di prima: se il traduttore in questione deve anche fare un altro lavoro per potersi mantenere pensate forse che abbia il tempo di rileggere con calma la sua traduzione, magari a distanza di dieci giorni? Certo che no! Perché quando si lavora a stretto contatto con un testo, tutti i giorni per almeno tre mesi (nella più rosea della ipotesi, perché ripeto che a volte si hanno anche meno di 90 giorni per consegnare traduzioni di più di 400 pagine) è ovvio che certe cose il traduttore non le noti più. Non si vedono più gli errori di battitura, non si vedono più i doppi spazi e magari ci sfugge anche qualche frase. Ecco perché sarebbe molto importante potersi prendere almeno una settimana di distacco dal testo e poi tornarci su, proprio per poterlo guardare con altri occhi. Inoltre, cari lettori, un traduttore resta pur sempre un essere umano. Non è una macchina e in quanto tale può commettere errori. Ma attenzione, non sto giustificando la negligenza o la sciatteria, sto solo dicendo che è normale fare errori; è normale poter interpretare una parola o una frase in modo diverso da quella che era l'intenzione dell'autore. A me è successo e per fortuna me ne sono accorta prima di consegnare il lavoro, ma non è escluso che possa accadere di nuovo e magari la prossima volta potrei non accorgermene. 
Ancora sulla vita quotidiana di un traduttore editoriale Ed è qui che entrano in scena i revisori. Il revisore è una figura importantissima perché rilegge e, se necessario, corregge la traduzione. Per un traduttore è fondamentale potersi relazionare col proprio revisore perché si ha un feedback sul proprio lavoro e questo ci permette di vedere (finalmente!) i nostri errori e di imparare ancora, di migliorarci sempre. Il bello della traduzione è proprio questo: obbliga il traduttore a continuare a imparare cose nuove per tutta la vita. Purtroppo a me non è mai capitato di potermi relazionare col mio revisore. L'ho chiesto all'editore e non ho mai ricevuto risposta. Non poter parlare con il mio revisore, non essere trattata male perché sicuramente avrei potuto rendere una frase in modo più felice, mi fa sentire monca perché mi viene tolta la possibilità di formarmi ancora, di migliorarmi come traduttrice.

Perciò cari lettori, una cattiva traduzione non è MAI solo colpa del traduttore, perché a vigilare (e giustamente aggiungo) sul suo lavoro dovrebbe esserci un revisore e se gli «strafalcioni» restano forse è perché il revisore non c'è. Pensateci, pensate a tutto questo la prossima volta che vi viene voglia di «fare gli snob» e sparare a zero sul lavoro di un traduttore. Il più delle volte non pecchiamo di negligenza nel nostro lavoro, siamo solo abbandonati a noi stessi.

Cosa ne pensate? Diteci la vostra!

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